Un’ora a scuola di Diritto: a tu per tu con il Dottore Antonino Intelisano Procuratore Militare della Repubblica
Ho avuto il privilegio di conoscere il Dottore Antonino Intelisano nel 1997 allorché fui destinato a frequentare, quale Ufficiale commissario del Corpo Militare della Croce Rossa Italiana, il Corso per Consigliere Giuridico delle Forze Armate presso la Scuola di Guerra di Civitavecchia. Sino ad allora conoscevo il Procuratore solo di fama, avevo seguito con estrema attenzione la riapertura del caso Priebke ed avevo ammirato in quella circostanza il suo forte senso del dovere ed il suo grande desiderio di fare chiarezza in nome della giustizia. In occasione del Corso cui ho accennato in premessa ho altresì apprezzato, durante la conferenza tenuta dal Dottor Intelisano, l’amore che lo stesso nutre per il Diritto e soprattutto la passione e l’entusiasmo che emergono in ogni suo intervento. In un momento difficile come quello attuale, in cui si combatte una guerra giusta e necessaria per alcuni ed ingiusta ed inopportuna per altri, ho deciso di incontrare il Signor Procuratore per rivolgergli alcune domande, volte a conoscere il suo pensiero giuridico relativamente ad alcuni eventi bellici del passato e del presente.
Il processo di Norimberga è stato un grande evento storico-giudiziario. Quali influssi ha avuto nella giurisprudenza militare?
Il Processo di Norimberga è stato sicuramente una tappa fondamentale in una attività di chiarificazione o anche di civilizzazione perché nel processo di Norimberga si sono affermati alcuni principi cardine. Certo, nel momento in cui fu celebrato ci furono grosse polemiche ed un appassionante dibattito di carattere culturale e politico, perché guardando al processo di Norimberga secondo i canoni del diritto nazionale venivano calpestati alcuni principi fondamentali, quali quello della precostituzione del giudice e in pratica c’era anche una vistosa violazione del principio di stretta legalità, perché soprattutto nei paesi di tradizione giuridica francese gli ordinamenti si erano attestati e si sviluppavano su principi di carattere diverso; quindi uno strappo rispetto al consolidamento del diritto penale ci fu sicuramente. Ciò detto, i principi affermati nel corso dei processi di Norimberga – perché contrariamente a quello che si ritiene, i processi celebrati a Norimberga furono tanti – segnarono una svolta fondamentale: intervenendo ex post l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite in pratica ratificò quei principi che furono affermati nel corso del processo di Norimberga. Naturalmente la ratifica non poteva eliminare del tutto i problemi e le smagliature che si erano determinate, però ci fu una prima acquisizione di fondo relativamente alla distinzione dei fatti perseguiti: crimini contro la pace, crimini contro l’umanità e crimini di guerra.
Una distinzione che da allora ha mantenuto tutto il suo rigore tanto è vero che è stata sostanzialmente recepita dallo Statuto della Corte Penale Internazionale che è stato in pratica elaborato o comunque definito alla Conferenza Diplomatica delle Nazioni Unite a Roma il 17 luglio 1998.
La svolta è stata notevole con il processo di Norimberga perché per la prima volta la guerra veniva bandita dall’ambito dei mezzi legittimi nelle relazioni internazionali. La fase attuale del Diritto Internazionale è per convenzione linguistica denominata Diritto dell’ONU, perché la Carta delle Nazioni Unite, la Carta di San Francisco, ha bandito appunto la guerra. La guerra contrariamente a quello che si diceva una volta con una nota definizione” non è la prosecuzione della politica con altri mezzi” o perlomeno se lo è stato in passato, oggi non può più esserlo. La nostra Carta Costituzionale peraltro è pienamente coerente con questa impostazione, allorché all’articolo 11 bandisce la guerra come mezzo per la risoluzione delle controversie nei conflitti che possono intervenire tra gli Stati. Quindi per dirla con Piero Calamandrei, nella lugubre aula di Norimberga si è affermato un principio: il Diritto alla pace da mera aspirazione delle anime nobili è diventato ordinamento giuridico.
Il caso Priebke ha riacceso i riflettori sulle vicissitudini degli ebrei italiani nell’ultimo conflitto mondiale. È possibile contemperare gli interessi legati al legittimo desiderio di giustizia nutrito dalle famiglie e quelli connessi ad un ex militare in guerra, oggi anziano e malato?
La risposta è senz’altro sì. Credo che lo stesso caso Priebke sia emblematico sotto questo aspetto perché non si è voluto “torturare” un persona avanti negli anni ma si è voluto affermare un principio di civiltà giuridica. Priebke non è in carcere, in relazione all’età sconta con misure sostitutive alla detenzione la pena che gli è stata inflitta e quindi credo che l’umanità possa andare di pari passo con l’affermazione di principio che è connaturata ed è nell’essenza del diritto.
La vicenda di Milosevic rilancia due esigenze: la prima di non abbassare mai la guardia in un Mondo in cui le dittature e le tirannie stentano purtroppo a tramontare, la seconda relativa alla validità del tribunale per la Ex Iugoslavia. Cosa pensa in proposito?
Il Tribunale per i fatti commessi nel territorio della ex Jugoslavia è definito dai giuristi tribunale ad hoc. È un tribunale che è stato costituito con connotazioni di specialità per quei fatti di particolare gravità che sono stati commessi nel territorio della ex Jugoslavia. Non è esattamente la situazione normativa del processo di Norimberga ma non è neanche la Corte Penale Internazionale, è un momento di transizione. Il tribunale è stato istituito per corrispondere ad una attesa di giustizia che altrimenti sarebbe stata inevasa, con tutti i limiti che questo comporta. C’era una battuta internazionalista di scuola realista, la quale diceva:”la persecuzione dei crimini di guerra è materia più della politica che del diritto”, ma stiamo parlando degli inizi degli anni ‘50, molta acqua è passata sotto i ponti e da allora c’è stata una maggiore sensibilità dell’opinione pubblica verso queste tematiche di valenza generale ma c’è stata una acquisizione di principi, grazie al processo di Norimberga, ai processi della Corte dell’Aja e ai processi per i crimini della ex Jugoslavia. È una linea di tendenza quindi molto netta verso cui si è incamminata l’umanità alla ricerca di nuovi traguardi, di nuovi obiettivi di civiltà.
Siamo spettatori di una guerra che vede di fronte anglo-americani ed iracheni. Secondo Lei il conflitto era proprio inevitabile?
Non voglio entrare in queste polemiche. Lei giustamente nella conversazione iniziale ha fatto riferimento a due scuole di pensiero, a due indirizzi contrapposti. Per ragioni di carattere istituzionale ho l’obbligo del riserbo, quindi le mie idee le tengo per me.
Le condizioni dei prigionieri nel conflitto in Iraq ripropongono i temi legati al loro trattamento umano. Quali sono le procedure attivabili in tali casi?
Il Diritto Umanitario è ormai parte integrante ed essenziale del Diritto Internazionale Pubblico; ci sono interventi di carattere preventivo che fanno capo ai superiori ed ai comandi, i quali hanno non solo un obbligo di carattere educativo, pedagogico, didascalico ma hanno anche un preciso obbligo giuridico di intervenire per reprimere o per impedire, quindi una responsabilità giuridica in senso proprio e “in vigilando” come è ribadito dai Protocolli Aggiuntivi del 1997 alle Convenzioni di Ginevra del 1949. Si tratta peraltro di un concetto che è stato ripreso anche dallo Statuto della Corte Penale Internazionale, credo all’articolo 28, che si affianca al principio della responsabilità penale di carattere personale che è stabilito nella Corte stessa e che è un presidio naturalmente sul quale si imperniano le legislazioni affini a quella italiana per tradizione e per cultura. Questo primo pilastro, questo primo presidio, è importante, poi ci sono gli interventi di tipo repressivo che vedono anche l’intervento di carattere penale, naturalmente per le infrazioni gravi. A mio modo di vedere, anche se può sembrare paradossale per chi fa la mia professione, la cosa più importante è l’interiorizzazione dei valori, è rendersi conto che anche in una cosa grave e drammatica come la guerra l’uomo non debba mai perdere la propria umanità, le proprie connotazioni peculiari.
Qual è il suo pensiero sulla costituzione della Corte Penale Internazionale e sul suo effettivo funzionamento?
Il mio pensiero è che la Corte Penale Internazionale costituisce sicuramente un traguardo importante. Come tutte le grosse novità è difficile dare corso, dare vita ed assicurare il funzionamento di questi organismi, perché vengono messi in discussione tanti principi ai quali siamo abituati e che per una forma di vischiosità ci portiamo appresso. Sicuramente c’è una deminutio positiva di forme di sovranità ma questo venire meno a queste forme di sovranità a favore di una entità sovranazionale è per affermare un principio di giustizia. Le opposizioni alla Corte sono note, ci sono grandi Stati quali la Cina, gli Stati Uniti ed altri ancora che non hanno aderito per una molteplicità di motivi. Questa è quindi la prima difficoltà, non c’è stata una adesione globale senza eccezioni, ma al contrario ci sono eccezioni vistose, opposizioni considerevoli all’affermazione di questo principio. La Corte in teoria ha uno Statuto che è in vigore dal primo luglio dello scorso anno, sono stati di recente nominati i giudici e dovrà essere nominato presto il Procuratore, che ancora non c’è. Una volta definito il quadro degli organigrammi, la Corte potrà iniziare a funzionare, certo i problemi e le difficoltà ci saranno, sono prevedibili, ma questo credo non debba far paura più di tanto perché qualsiasi organismo che prende vita trova le difficoltà che sono connaturate ad una nuova esistenza, quando soprattutto questa esistenza si trova in termini un po’ di contrasto con un passato ricco di luci ma ancora di più ricco di ombre.
Recenti interventi legislativi hanno introdotto modifiche al codice penale militare di guerra. Quali sono le novità più significative?
In occasione della decretazione relativa all’operazione enduring freedom, in sede di conversione del Decreto Legge che autorizzava la missione, il Parlamento ha provveduto ad espungere dal codice penale militare di guerra delle norme in aperto contrasto con la Costituzione. Si è trattato di un restailing minimo al quale dovrà seguire invece un intervento normativo più convincente, più organico e più articolato. È al lavoro una commissione ministeriale, della quale faccio parte, che sta procedendo a studiare una modifica organica sia del codice penale militare di pace che del codice penale militare di guerra e dell’ordinamento giudiziario. La Commissione rimetterà a breve i risultati del lavoro al Ministero della Difesa e potrebbe probabilmente presto essere presentato se ci sarà una adesione politica al lavoro tecnico svolto, un disegno di legge che conferisca al Governo una delega legislativa per le formulazioni di nuovi codici.
L’Amministrazione Difesa e la Croce Rossa Italiana, organizzano in ottemperanza a quanto disposto dalle risoluzioni Internazionali, corsi che abilitano gli Ufficiali ad assolvere le funzioni di Consigliere Giuridico e Consigliere qualificato per le Forze Armate. Ritiene Signor Procuratore che nei conflitti armati tali figure assumono davvero un ruolo determinante o vengo poi viceversa disattese in spregio delle più elementari norme del Diritto Internazionale Umanitario?
Formare un Consigliere Giuridico in questa materia non è facile perché si richiede un background di carattere culturale e specialistico non indifferente. Gli sforzi che le nostre Forze Armate hanno fatto e continuano a fare sono encomiabili, risultati maggiori potrebbero raggiungersi in futuro quando si metteranno a frutto anche le esperienze sin qui acquisite. Come dicevo in precedenza non si tratta solo di un atto di buona volontà ma si tratta oggi, per i singoli Stati, di un obbligo giuridico, quindi ben vengano questi corsi, ben venga questa attività di sensibilizzazione anche perché è la base fondamentale per la diffusione delle regole di Diritto Internazionale Umanitario che come ho detto prima hanno il loro presupposto nel momento educativo, nel momento pedagogico e nel momento didascalico.
Pubblicato su “Forum” in data 01.04.2004