Gino Falleri: giornalisti sentinelle della notizia
Se dovessi, pur brevemente, tracciare il profilo del dottor Gino Falleri, Vice Presidente dell’Ordine dei Giornalisti del Lazio, Presidente del gruppo giornalisti degli uffici stampa e consigliere della federazione nazionale della stampa, non sarebbe sufficiente il pur generoso spazio che il Direttore mi ha concesso per questa intervista. E questo, non solo perché Falleri esercita la professione da mezzo secolo ma anche e soprattutto, per il modo appassionato e totale con cui la esercita e che lo ha portato, in virtù di una eccellente cultura e di una condotta irreprensibile, a ricoprire incarichi nazionali ed internazionali. Docente accademico, delegato e segretario del sindacato, membro di commissioni ministeriali, capo ufficio stampa di Enti pubblici, scrittore e mille altri gli incarichi che il nostro Presidente ha ricoperto e ricopre tuttora. Lo conosco da anni e ho sempre apprezzato il modo schietto e pulito di fare giornalismo, senza fronzoli, ma nel pieno rispetto del codice deontologico, del lettore e della gente, che è destinataria dell’informazione. L’ho incontrato nel suo elegante ufficio e ho avuto così il privilegio di intervistare il “mio maestro” per oltre un’ora, di ricevere consigli preziosi e di bere un buon caffè caldo in sua compagnia.
Chi ti ha spinto a diventare giornalista e quale consiglio ti senti di dare ad un giovane che vuole intraprendere questa professione?
Sono diventato giornalista per motivi come dire…..familiari; avrei preferito stare nella pubblica amministrazione, al servizio dello Stato. Invece il suggerimento materno era diverso, anche se più tardi l’antico amore è stato soddisfatto. Così ho imboccato la strada del giornalismo. Mio padre all’epoca lavorava per un Ministro, era stato da poco congedato dall’Arma dei carabinieri, ed aveva avuto modo di conoscere il suo capo ufficio stampa, che era il padre di Bruno Tucci, attuale Presidente dell’ordine dei giornalisti del Lazio. Così ho iniziato a scrivere e a raccontare quello che vedevo o sapevo. Tucci padre, infatti, mi chiamò e mi chiese se sapevo e volevo scrivere: grazie a lui iniziai la mia avventura al Messaggero ed il primo articolo che scrissi era un pezzo rievocativo sulle nefandezze dei tedeschi a Gubbio. Poiché i partigiani avevano ucciso due loro Ufficiali prelevarono tutti gli uomini validi, senza distinzione di età e ne fucilarono quaranta. Alcuni erano miei compagni di giovinezza. Mio cognato invece, assieme al padre ed ai fratelli, scavarono la fossa. L’articolo si intitolava “Quaranta martiri”. L’articolo piacque e mi fu chiesto di continuare a scrivere, così mi ingegnai e decisi di andarmi a cercare le notizie in giro per Roma, raccontando fedelmente ciò che di interessante venivo a sapere. Tutto filava per il verso giusto quando sempre il buon Tucci mi propose di lavorare quale collaboratore per Momento Sera dove guadagnavo ben ottocento lire per ogni “pezzo”. Era il 1952 e potevo ritenermi sinceramente più che soddisfatto. Questo in sintesi il mio approccio con questa affascinante professione, che però devo rappresentare ad un giovane che vuole intraprenderla come una professione non facile ed irta di difficoltà, dove ci vuole perseveranza, impegno, correttezza verso il lettore e dove bisogna tenere sempre conto che le notizie devono avere valenza collettiva.
Chi è un giornalista? C’è differenza tra giornalisti professionisti e giornalisti pubblicisti?
Il giornalista, come ha sapientemente raffigurato Joseph Pulitizer, uno dei più grandi giornalisti americani che ha dato il nome al più prestigioso premio giornalistico, è da considerare come un “guardiano” degli altri poteri. Una vedetta che dà l’allarme sui pericoli che si profilano; spetta a lui informare con puntualità e correttezza l’opinione pubblica. Da noi esiste l’Ordine professionale, una vecchia idea che ha incominciato a germogliare all’inizio del passato secolo e poi tradotto in un provvedimento legislativo nel 1963. All’Ordine appartengono sia i professionisti che i pubblicisti, ma collocati in due differenti elenchi, che costituiscono l’albo. I giornalisti professionisti hanno esclusività professionale, non possono fare altro. E sull’esclusività si dovrebbe fare un discorso. Personalmente ritengo che debba essere assoluta, senza alcuna deroga. Gli iscritti all’elenco pubblicisti possono svolgere anche altre attività. Sul piano professionale la prestazione è identica e per la giustizia ordinaria la differenza tra i due elenchi sta soltanto nell’esclusività professionale. Quest’ultima figura professionale è stata estratta dal mondo della cultura francese. Intorno al 1843 Honorè de Balzac ha scritto un libro “I giornalisti” dove dava conto di una disputa tra gli scrittori e i pubblicisti, figura ripresa nel 1877 allorché è stata istituita l’Associazione della stampa periodica italiana. A quell’epoca i pubblicisti, che erano gli acculturati, Alberto Bergamini li ha definiti l’aristocrazia della professione, convivevano con gli attuali professionisti, che nel 1877 venivano chiamati anche effettivi. La trilogia del primo statuto, era prevista anche una categoria riservata ai professori universitari, è stata poi ripresa nel 1928 dal legislatore fascista e successivamente nel 1963 da quello repubblicano. Sul piano professionale non c’è differenza, anche perché con una legge finanziaria chi è titolare di contratti ex articoli 1, 2, 12 e 36 ha come ente previdenziale soltanto l’Inpgi. Sono solo diverse le modalità di accesso all’albo. Per diventare professionisti occorre innanzitutto essere iscritti al Registro dei praticanti e poi sostenere l’esame di idoneità professionale. Quando l’ipotesi Siliquini sarà legge dello Stato l’esame sarà anch’esso di Stato. Per essere iscritti all’elenco pubblicisti occorre svolgere una attività professionale di oltre un biennio, che deve essere vagliata dai Consigli dell’Ordine competenti per territorio e per domicilio professionale.
E certe dicerie che dipingono i giornalisti pubblicisti come avvocati, ufficiali e medici?
Beh questa è l’origine nobile del giornalista iscritto nell’elenco pubblicisti, perché un tempo erano solo gli avvocati, gli ufficiali, i medici, gli ingegneri, i maestri e pochi altri gli acculturati che sapevano scrivere, e che svolgendo già una professione dovevano iscriversi nell’elenco pubblicisti dei giornalisti. Questo è un punto a favore proprio dei pubblicisti. Con il tempo le cose sono cambiate ed oggi molti pubblicisti lavorano praticamente full time come i professionisti e fanno del giornalismo l’unica fonte di guadagno.
Credi che i giornalisti siano liberi fino in fondo oppure devono scrivere in base alle indicazioni degli editori?
Per quanto mi riguarda non sono mai stato condizionato anzi…I giornalisti hanno un quadro di riferimento che è stabilito dall’editore e dal direttore responsabile e devono pertanto attenersi a quella impostazione. È un argomento questo che hai evidenziato di cui bisognerebbe parlare a lungo dinanzi a prove reali e concrete, comunque credo che il giornalista debba sempre essere a posto con la propria coscienza ed attenersi al codice deontologico.
Trovi giusto che sia stata abolita per i giornalisti la reclusione per il reato di diffamazione?
Sì molto giusto. In un sistema liberale e non dittatoriale era assurdo che si perseguisse il reato di opinione con la reclusione. Si è trattato di un salto di qualità civile e democratico da apprezzare.
Per te un giornalista deve solo raccontare ciò che vede o può rappresentare le proprie idee politiche, comportamentali e sportive?
Un giornalista deve essere un terzo e non una parte, a lui spetta solo il compito di informare la pubblica opinione, deve solo dire come stanno le cose, poi in un’altra parte del giornale può anche esporre le proprie idee. Conosco bene, come sai, varie realtà straniere e posso dirti con rammarico che solo in Italia in prima pagina si riportano commenti, pareri ed opinioni. Da tutte le altre parti, parlo ad esempio della stampa anglosassone, in prima pagina c’è la notizia, il fatto, che è ciò che vuole sapere subito il lettore, poi in altre parti del giornale troviamo approfondimenti e fondi. È questo il modello giusto, e non il nostro perché è corretto dare subito asetticamente la notizia e poi proporre l’approfondimento.
Credi nell’esistenza dell’ordine dei giornalisti e della F.N.S.I?
Sono un uomo del sindacato pertanto credo nella F.N.S.I. ma quale Presidente dell’unione giornalisti per il federalismo non posso non tenere conto che l’Europa cammina contro gli ordini, gli albi, gli elenchi e che l’ordine dei giornalisti esiste solo nel nostro paese. In qualche altro stato può esserci un organismo che può far pensare ad un ordine ma che non è così concepito, ma è piuttosto un organismo bilaterale diviso in una struttura che cura la parte deontologica ed un’altra rappresentata dal sindacato. Di qualche adeguamento ha forse bisogno il nostro ordine per stare al passo con i tempi e con gli altri paesi.
Sempre per stare al passo con i tempi, qual è la via migliore, a tuo avviso, per diventare giornalisti?
Fatti salvi ovviamente i diritti acquisiti, ritengo che una via giusta per l’accesso alla professione e per il titolo di giornalista, potrebbe essere quella della frequenza di master o di corsi presso le scuole di giornalismo, e non il conseguimento di una specifica laurea, come un documento del consiglio nazionale in passato ha proposto. Ma questa è una idea tutta personale che credo valida, ma che non so quanti sposerebbero. Il giornalismo è frutto della correttezza e del talento individuale; ben vengano quindi giornalisti laureati ma l’elemento fondamentale per il giornalista è il talento. Si può essere bravi ad acquisire una notizia e a scrivere e raccontare bene al lettore un fatto anche se non si è laureati: non si può disperdere il patrimonio di tanti giovani capaci solo perché non hanno il diploma di laurea. Ben vengano allora per me le scuole di giornalismo e i master che hanno il compito di ‘uniformare’ secondo i criteri deontologici la professione.
Come definisci i giornali?
La tua Ercole è una domanda diretta. Sarò brutale e metaforico: industrie in cerca di profitto.
La Legge 150/2000 prevede che presso gli uffici stampa pubblici e privati operino esclusivamente giornalisti. Credi sia giusto?
Ho combattuto per ben trentacinque anni affinché fosse affermato questo principio perché ho sempre sostenuto che l’ufficio stampa è uno degli organismi dove si estrinseca il giornalismo. È necessaria pertanto una qualificazione professionale e di garanzia che solo un giornalista può offrire in quanto soggetto ad un codice deontologico di riferimento.
Quale giornalismo sogni per il futuro?
Beh, questa è una domanda da palla di vetro. Il giornalismo, torno a ripetere, è basato sulla correttezza e sul talento e deve avere come obiettivo sempre l’informazione alla collettività. Il giornalista è il soldato dell’informazione e deve sempre operare e vigilare affinché sia riportata alla gente la realtà dei fatti senza trucchi e senza inganni. Ecco io sogno un giornalismo libero, senza condizionamenti e senza fronzoli, fatto di dati reali e certi e di uomini che siano il punto di riferimento della gente che da loro deve sapere ciò che accade realmente nel mondo, a 360°.
Se fossi stato americano avresti votato per votato per Bush o Kerry?
Per natura sono un falco, anche se uso per esserlo molta diplomazia. L’esempio calzante è una manopola infilata in un guanto di seta. Non sono per niente una colomba. Quando giocavo al pallone, e questo accadeva tanti tanti anni fa, ero il capitano della squadra e mi “arrabbiavo” sempre con un compagno, una autentica colomba, che per difendere arretrava sin quasi sulla linea di porta. Così facendo ci faceva incassare una rete dopo l’altra. Un bel giorno, dopo aver detto all’allenatore che era meglio metterlo fuori squadra, in campo ho iniziato a comandare io e le cose sono immediatamente mutate. Dovevamo essere “falchi”. Sono a favore di Bush non perché apprezzo la sua politica, gli americani hanno molte cose da farsi perdonare, ma per il modo come ha reagito agli attacchi dell’11 settembre. Non ha posto l’altra guancia. Non è stato ad attendere ed ha reagito, anche se la lotta al terrore non è per niente facile. E tu mi sembri un po’ come me…..un bel falco.
Pubblicato sul “Corriere del Sud Lazio” n. 48 del 2004