Stile, libertà e talento: il giornalismo di Nesti
È tra i giornalisti sportivi più preparati e più ammirati, ci racconta di calcio da trenta anni in modo leale e trasparente, coerente e realista. Con un padre commerciante di macchine da scrivere, era segnato nel suo bagaglio genetico che dovesse diventare giornalista e seguire lo sport, che da sempre, lo ha appassionato e ne ha catturato tutte le attenzioni. Dalla radio-armadio, stile anni ‘60, del salotto della sua casa, seguiva le partite raccontate da Carosio, Ameri e Ciotti; con il registratore marca “geloso”, ricevuto per Natale, registrava e commentava partite, talvolta finte, come un Milan – Modena, mai giocata, ma che lo ha divertito per interi pomeriggi. E così, di seguito, telecronache sportive rivolte ad amici accondiscendenti ed interminabili partite a biglie sulle spiagge di Alassio, ove ripercorreva le imprese di Gimondi e di Adorni. La domenica poi, allo stadio comunale di Torino, a vedere la Juve con il padre e il Torino con lo zio, un’alternanza questa, che gli ha insegnato la cultura per lo sport senza una netta predominanza nel tifo per una squadra piuttosto che per un’altra e che forse ha giovato molto anche alla sua carriera che non è stata mai segnata da critiche campanilistiche, ma sempre esaltata per la sua grande obiettività e professionalità. Il 27 Novembre del 1974 il suo primo articolo sul settimanale calciofilm e l’ingresso ufficiale, per sua e nostra fortuna, nel mondo del giornalismo sportivo del quale oggi è uno degli interpreti più autorevoli e rappresentativi. Lo abbiamo conosciuto agli inizi degli anni ‘80 al Processo di Biscardi, un po’ più capellone, curare le famose schede di “Carlo Nesti” e non lo abbiamo più abbandonato, seguendolo a 90° Minuto, alla Domenica Sportiva, a Tutto il Calcio minuto per minuto e a tutte le altre trasmissioni sportive della Rai e sul suo sito internet, incapaci di restare lontani da un personaggio “pulito” del nostro calcio che ci racconta le emozioni di questo meraviglioso sport -quelle vere- quelle dell’album panini e dell’odore dell’olio canforato in uno spogliatoio e che ci fa dimenticare, per un attimo, il doping farmaceutico e amministrativo.
Per lei il giornalismo è una vocazione, una passione o solo una professione?
Innanzitutto una vocazione e una passione, e poi una professione. Vocazione, perché, da quando ho cominciato a connettere, ho sempre sperato di fare questo mestiere.
Cosa l’ha spinta a diventare giornalista?
Diventando giornalista sportivo, ho intrecciato fra loro tre passioni, coltivate da sempre: quella per la scrittura, quella per lo speakeraggio e quella per lo sport e, in particolare, per il calcio.
Chi è stato il suo maestro?
Ho avuto due maestri: innanzitutto Giovanni Arpino, che mi ha consentito di cominciare questa professione e quindi Pier Cesare Baretti, per me una sorta di fratello maggiore.
E lei, di chi è stato maestro?
Credo che sia ancora presto per rispondere a una domanda del genere. Tante persone mi scrivono, dicendo di ispirarsi a me, questo mi riempie di orgoglio, se significa giornalismo serio.
Crede nell’esistenza dell’ordine nazionale dei giornalisti e della federazione nazionale della stampa?
Credo a un modo più chiaro a tutti, che non esiste ancora, di accedere a questo mestiere, senza la doppia strada rappresentata, da un lato, dalla bottega e dall’altro dallo studio.
La Legge 150 del 2000 prevede che presso gli uffici stampa pubblici operino esclusivamente giornalisti. Crede siano giusti i dettami di questa Legge?
A me pare che ci siano profonde differenze fra gli uffici stampa, spesso più affini al marketing che al giornalismo e le redazioni: qualsiasi ragionamento dovrebbe partire da qui.
Crede che i giornalisti siano liberi fino in fondo oppure debbano rispondere e scrivere in base alle indicazioni degli editori?
Non credo alle favole: penso che soprattutto chi ha la fortuna di essere benestante di famiglia, come me, può essere più libero degli altri ma i condizionamenti esistono per tutti.
Lei è stato mai condizionato nell’esercizio della sua professione?
Come dicevo, assolutamente no, anche perché non ho mai avuto paura di restare senza stipendio. Non mi permetto di giudicare chi è giornalista per necessità e non per hobby come me.
Dove inizia e dove finisce la libertà di stampa?
Comincia quando ci si guarda allo specchio la mattina, con il coraggio di guardarsi, finisce quando questo coraggio non esiste più: credo che sia un fatto innanzitutto di tipo soggettivo.
Trova giusto che sia stata abolita per i giornalisti la reclusione per il reato di diffamazione?
La diffamazione può uccidere una persona, per cui chi ne è autore merita una pena severa. Troppo spesso, inoltre, le rettifiche continuano ad avere meno spazio degli errori.
Per lei un giornalista deve solo raccontare ciò che accade o può anche rappresentare le proprie idee politiche, comportamentali, sportive…
Si può essere ora cronisti, ora commentatori: l’importante è che siano intellegibili, per il lettore o per l’ascoltatore di turno, il momento notarile e quello opinionistico.
Lo confessi…è del Toro!
Ho già confessato più volte i miei sentimenti: mi considero un sangue misto, una sorta di meticcio del tifo, simpatizzante del calcio della mia città, che, come è noto, è Torino.
Quale giornalismo sogna per il futuro?
Mi piacerebbe che tutti facessero un passo indietro: si è imposto, nelle televisioni, il modello del giornalista schierato, che farà anche spettacolo ma non fa onore alla professione.
Ha conosciuto Agnelli, Berlusconi, Prisco, Maradona, Platini, Falcao, Zico e mille altri ancora. Da chi è stato maggiormente affascinato e perché?
Non mi sono mai specializzato nelle interviste, lasciandole spesso ai colleghi, per cui ho sempre avuto amicizie al di fuori dello sport: Scirea, nel mio cuore, occupa un posto speciale.
Ha nostalgia della “scheda” di Carlo Nesti?
Ho nostalgia di quando le facevo e cioè di quando avevo 25-35 anni. Mi considero fortunato, perché allora esistevano solo tre canali e la gente non vedeva altro, per cui era facile diventare popolari.
Pubblicato sul “Corriere del Sud Lazio” n. 29 del 2005.