Cinquantasette anni da Roma, Maurizio Martinelli è uno dei volti più noti di Rai Due ed irrompe nelle nostre case, con la sua voce graffiante e decisa, alle 20.30 in punto, mentre stiamo … scolando lo spaghetto. Giornalista da oltre trent’anni, Martinelli ha lavorato, prima di approdare in Rai, per “l’Ora”, “Il Tempo” e “l’Infomazione” occupandosi in particolar modo di fatti di cronaca nera e giudiziari. Maurizio ha condotto per Rai Tre “speciali” importanti “Parla Buscetta” dedicato al Processo Andreotti e “Il caso Contrada” e per Rai Uno è stato l’autore di un ciclo di trasmissioni dedicato a Sergio Zavoli e ai temi della giustizia prima di approdare nel 1997 al Tg2 del quale è stato anche inviato speciale a Bagdad per il famigerato conflitto iracheno. Dall’ottobre del 2002 al 2008 ha condotto l’edizione del telegiornale diretto da Mauro Mazza e una rubrica di approfondimento chiamata prima “Tg2-Dieciminuti” e poi “Tg2 Puntidivista”. Dal 2008 conduce l’edizione delle 20.30 del Tg2. Maurizio Martinelli è però tante altre cose ancora, padre affettuoso, appassionato e talvolta praticante di rugby, amante del mare e della barca e provocatore inesauribile su facebook dove non si esime con un tono sarcastico molto apprezzato dalle sue fans, di ironizzare su temi più svariati che vanno dalla situazione politica attuale agli usi e soprattutto ai costumi del popolo italiano. Mantenendo una vecchia promessa ed estorcendomi una pizza nel cuore di Roma e a due passi dalla culla della giustizia, tanto cara a lui quanto a me, oggi il buon Maurizio si è confessato al mio microfono.
Quando e perché sei diventato giornalista e, soprattutto, sei rimasto soddisfatto di questa scelta?
Sono diventato giornalista nel 1988, sono assolutamente soddisfatto di questa scelta e lo sono diventato perché mio padre era giornalista ed ho respirato a casa questo mestiere fin da quando sono nato. La stessa strada l’ha seguita mio fratello che è anch’egli giornalista ed è il direttore de Il Messaggero. Quando ero piccolo capitava che mio padre, che si occupa di cronaca giudiziaria, spesso mi portasse con sé a seguire i grandi processi e ricordo perfettamente, ad esempio, che seguii da ragazzino il processo di Piazza Fontana a Catanzaro ma non perché mi interessasse ma semplicemente perché mio padre per “alleggerire” mia madre dal peso di quattro figli a volte, direi spesso, mi portava con lui. Ho passato pomeriggi interi nella sede romana del Corriere della Sera, dove lavorava mio padre, che mi lasciava nella stanza di Vincenzo Lucrezi che era il segretario di redazione e mentre lui lavorava io cercavo di fare i compiti. Non avevo alternativa e tra le carte e le mazzette del Corriere della Sera studiavo. Ho cominciato praticamente quasi subito, appena terminata la scuola -come si cominciava all’epoca- non esistevano per questo mestiere scuole o corsi a quei tempi ed era la strada che ti insegnava.
Chi sono stati i tuoi maestri?
Beh, ovviamente mio padre in primis e poi ho avuto dei grandi direttori, Vittorio Nisticò a L’Ora di Palermo, Gaspare Barbiellini Amidei a “Il Tempo”, Mauro Mazza al Tg2, insomma diversi buoni maestri da ciascuno dei quali ho cercato di carpire ed imparare qualcosa. A Mauro Mazza devo in particolare molto perché non ci conoscevamo, l’ho incontrato al Tg2, ci siamo subito presi e lui mi ha proposto di condurre il telegiornale. Però voglio dirti che ho avuto anche altre persone e figure professionali dalle quali ho imparato e molto, mi riferisco ai fotografi. Ricordo perfettamente che sia a L’Ora di Palermo sia a Il Tempo io ero giovane e c’erano personaggi espertissimi che conoscevano benissimo il mestiere e che io osservavo. Questi fotografi mi hanno aiutato a crescere professionalmente, a L’Ora c’era Letizia Battaglia una fotografa di mafia eccezionale, una freelance bravissima e al Il Tempo c’era una squadra straordinaria composta da Rino Barillari, da Piero Torrisi e Maurizio Picirilli. I fotografi con il loro modo di stare sulla “scena del crimine” e di muoversi ti insegnavano il mestiere, ti indicavano quale porta aprire o non aprire, dove bussare o non bussare. A quel tempo non c’erano i social e tu se c’era il morto dovevi rientrare al giornale in un modo o nell’altro con la foto del morto, tutto, diciamolo, era insomma lecito purché tu tornassi con quella foto. Oggi nelle scuole, seduti sui banchi, si fa un praticantato virtuale secondo me e non si vive la famosa strada cui ti ho sino ad ora parlato.
Credi nell’esistenza dell’Ordine dei giornalisti e della Federazione Nazionale della Stampa o credi siano solo…dei tesserini?
Credo all’idea di un Ordine ma non a questo Ordine, credo all’idea di un sindacato ma non a questo sindacato. Lamento verso queste due organizzazioni una eccessiva politicizzazione e non seguo le loro dinamiche. Le poche volte che ho avuto a che fare sia con l’Ordine che con la Federazione sono rimasto abbastanza deluso da entrambi.
La Legge 150 del 2000, la trovi un traguardo o una legge inutile?
La trovo un controsenso perché la figura dell’addetto stampa non la trovo strettamente in linea con la figura del giornalista. L’addetto stampa fa gli interessi della persona o dell’istituzione per cui lavora mentre il giornalista mi sembra possa agire con maggiore libertà. Indubbiamente occupandosi sia l’addetto stampa sia il giornalista di “comunicazione” le note di linguaggio sono le medesime e ne beneficia una maggiore e reciproca comprensione ma ripeto, senza volerne fare una questione di lana caprina, credo, in generale, che il giornalista di un quotidiano o di una TV goda di maggiore libertà rispetto ad un addetto stampa. Sono mestieri, i due, paralleli ma non uguali.
Con una botta hai fatto fuori Ordine, Federazione e Legge 150.
Ah, ah, ah, prima di iniziare mi hai detto “senza peli sulla lingua”.
Non credendo all’impostazione attuale di Ordine e Federazione, immagino, conoscendoti, che coerentemente non partecipi alle elezioni.
E’ vero, non voto e non partecipo alla vita associativa.
Tu che sei diventato giornalista con la Olivetti lettera 22 e il taccuino e la biro e che andavi a cercarti la notizia per la strada, come vedi i giornalisti di oggi che twittano e riportano sui social notizie -spesso neanche verificate- e che ascolti ai Tg tre ore dopo o leggi su un quotidiano addirittura dieci o quindici ore dopo?
La strada, manca la strada, quella gavetta che la mia generazione e quelle che mi hanno preceduto hanno fatto. Credo però che il giornalista debba rispettare sempre e comunque la verità dei fatti e della notizia e quindi se sui social leggi una cartella di Feltri o Travaglio l’attendibilità della fonte comunque c’è. Il giornalista deve, ripeto deve, sempre raccontare la verità, ovunque la racconti ma è indubbio che ci sia stata un’inflazione di notizie e di giornalisti. Ti faccio un esempio, quando ho iniziato io e c’era un fatto o succedeva qualcosa, correvo sul posto ed eravamo al massimo cinque o sei giornalisti e due telecamere mentre oggi per fatti uguali trovi cinquanta o sessanta giornalisti o… comunicatori con venti telecamere e trenta telefonini. Una folla! Una folla che poi scrive da ogni parte e che ti racconta la “sua” e la qualità ne risente. Spetta a noi il compito e il dovere di informarci selezionando.
La più bella e la più brutta notizia che hai dato?
Beh io mi sono occupato sempre di cronaca nera e giudiziaria poi sono passato alle guerre per cui fatico a ricordare una bella notizia.
Raccontami allora lo scoop di cui vai più fiero.
Bahh, più fiero no, ti racconto quello che è stato il mio primo scoop. Parliamo di mafia, parliamo di Capo d’Orlando, parliamo di antiracket. C’era un tizio che imperversava in tutte le televisioni e si dichiarava, calamitando l’attenzione ’dell’opinione pubblica e delle istituzioni, vittima del racket che diceva di combattere strenuamente. Aveva simulato minacce, aggressioni, estorsioni ed addirittura un tentato sequestro, per i siciliani stava diventando un eroe per la sua inflessibilità e per il suo coraggio. Era stato ucciso da poco Libero Grassi, insomma era una Sicilia diversa da quella di oggi. Io non credetti a questo personaggio e fui il primo giornalista a scoprire che dalle indagini che stavano conducendo i Carabinieri, emerse poi la verità, a seguito dell’ennesima denuncia di questo genio del male e delle intercettazioni telefoniche degli uomini dell’Arma. Fui il primo giornalista a dare questa notizia come fui il primo, ahimè, a dare la notizia dell’attentato di Nassirya, del sequestro dei quattro italiani in Iraq, il primo ad arrivare a Fukuschima quando ci fu lo tsunami in Giappone, insomma per ritornare alla tua domanda di prima, Ercole, notizie belle non ricordo di averne date. Ovviamente da conduttore di Tg notizie belle ne ho date anche perché in un telegiornale ci sono notizie belle e brutte, anche se per la verità sono sempre più quelle brutte ma il ruolo del conduttore del Tg è per me diverso da quello del giornalista.
Sei stato in teatri di guerra, che idea hai dei militari italiani?
Ho una stima infinita per i militari delle Forze Armate e per il personale militare e civile della Croce Rossa Italiana. Ero a Bagdad, vivevo in albergo ma non era certamente vita da hotel, era rischioso ed altamente adrenalinico il lavoro in quei giorni terribili poi ci fu la strage di Nassirya ed ovviamente mi spostai immediatamente lì. C’erano la “Sassari”, i Carabinieri, i militari appartenenti alle altre Forze Armate, la Croce Rossa ed ho incontrato e conosciuto, in quei drammatici giorni, soldati straordinari, forti, determinati, che lavoravano alacremente per assolvere il mandato per cui erano stati spediti laggiù. All’indomani dell’attentato di Nassirya arrivò dall’Italia l’allora Ministro della Difesa Antonio Martino e al momento dell’alzabandiera tra i monti iracheni vidi salire il nostro Tricolore ed intonare l’Inno di Mameli e subito dopo “Dimonios”, piansero dalla commozione loro e piansi io . Un pianto forte e pieno di dignità che ancora oggi e per sempre ricorderò e che sono onorato di aver condiviso con gli uomini e le donne d’Italia con le stellette!
Parlami ora del bombardamento all’hotel Sheraton di Bagdad.
Beh si, ce l’hanno bombardato, erano le sei di mattina, ci si stava per svegliare quando uno o due razzi colpirono l’ascensore che era adiacente alle trombe delle scale e quindi un’ala dell’hotel venne completamente distrutta. Fortunatamente era l’alba ed ancora nessuno, me compreso, girovagava per la reception altrimenti non saremmo qui a farci quattro chiacchiere.
Ti sei interessato nei tuoi “speciali” anche di Andreotti e Contrada, raccontami.
Si quelli furono incarichi che mi assegnò Luigi Locatelli, direttore all’epoca del Tg3. Sul caso Andreotti che era di assoluta attualità ed interesse facemmo solo un paio di servizi perché un giudice a latere ebbe un problema serio ad un occhio e fu ricoverato ed il Processo fu sospeso e slittò ed allora virammo subito su un processo altrettanto importante e che era quello che riguardava Bruno Contrada. Convinsi l’imputato a passare una giornata intera di un’udienza con lui. Vissi il suo phatos, lo vidi arrivare in Tribunale, lo vidi partecipare emotivamente all’udienza ed aspettare la sentenza insieme che poi commentammo con gente che di mafia ne capisce e che tra questa c’era anche Ciccio La Licata che è forse il più grande giornalista esperto di mafia.
Dimmi di quella volta che apostrofasti un tizio che voleva darsi fuoco in diretta.
E’ passata alla storia questa cosa ma io il giorno dopo chiesi pubblicamente scusa ai telespettatori. Vidi in un programma un signore che raccontava una storia tristissima come una delle tante che capitano a molti padri, la cosa mi colpì e lo contattai ed invitai a “Punti di vista”, un approfondimento del Tg2. La puntata la intitolai “Padri separati” e questo signore che per tanti anni non aveva potuto vedere il figlio perché la moglie lo portò all’estero, quando il ragazzo divenne maggiorenne ebbe l’opportunità di incontrarlo e riabbracciarlo nuovamente. Una storia difficile che voleva porre l’accento sulle difficoltà di tanti papà separati e che vide questo ospite improvvisamente diventare protagonista assoluto perché prese una bottiglietta con della benzina tipo quella che si usa per gli zippo per intenderci e se la versò addosso minacciando che si sarebbe dato fuoco se non avessi letto un documento che aveva portato in studio. Accoremmo tutti, il cameramen, i colleghi in studio ed io per farlo desistere da quell’insano gesto e poi lessi una parte di quel suo scritto. Al termine della trasmissione, quando partì la sigla ed il microfono del giornalista dovrebbe essere di norma silenziato, con l’odore della benzina ancora addosso e la tensione del momento, lo apostrofai come ben ricordi. Mi assumo la responsabilità ma il microfono sarebbe dovuto essere spento ah ah ah.
Bene, parliamo ora di rugby. Che c’entri tu, che non sei una roccia, con questo sport?
Oggi, oggi è così ma il mio rugby non era così.Era uno sport per tutti, il basso, l’alto, il magro, il ciccione, il rugby era uno sport per tutti davvero. Mentre quando io giocavo “all’apertura” i miei ottanta chili bastavano, oggi ce ne vogliono cento, ci sono venti chili e dieci centimetri in più. Un pilone” che pesava novanta chili era un buon pilone adesso ci vuole un pilone che pesi almeno centodieci chili, C’è stata una forte evoluzione in questo sport con l’avvento prima del semiprofessionismo e poi del professionismo, con l’aumento di chili e centimetri e dove arrivano i soldi cambia sempre la natura delle cose e quindi anche il rugby è diventato un’azienda con pro e contro. C’è stata l’esplosione di interessi economici, l’aumento dei traumi, non è più il rugby che praticavo io.
Quanto ti diverti su facebook? Stai sempre sul pezzo, dimmi la verità, ti piacciono i like delle tue amiche, fai un po’ il piacione .
Ah ah ah ma no guarda neanche li vedo i like. Sono pensieri i miei, lì butto lì per ridere. Sai bene che una volta i social non esistevano e le notizie passavano per le agenzie e si prendevano da lì. Oggi il politico di turno se deve fare un annuncio o una dichiarazione va su un social e scrive il suo pensiero o la sua dichiarazione quindi chi fa il nostro mestiere deve necessariamente abitare anche i social ed allora, in un momento tranquillo, quando non ci sono notizie da acquisire, sto lì e scrivo due minchiate innocue.
Parliamo di mare. Qual è il più bello?
Ah ah ah, il mare più bello è quello di Palmarola ma io sono molto affezionato e legato a quello di Scauri, al tuo mare. Fino all’età di nove, dieci anni andavamo con la mia famiglia lì in vacanza poi ci spostammo ma io per qualche altro anno ancora sono ritornato perché andavo a passare qualche giorno dai miei nonni che erano rimasti lì. Ricordo tutto, monte d’oro, monte d’argento dove abitava mia zia alle pendici di una sorgente di acqua dolce, la darsena e le sue barche, lo scoglio, la spiaggia dei sassolini, la villa di Manfredi e Minturno più in alto. Noi abitavamo proprio a monte d’oro, vicino la casa del Generale Umberto Nobile. Andavamo al lido Tirreno da Nicandro e dalla moglie Teresa che avevano due figlie una delle quali si chiamava Lucia. Tempi bellissimi e spensierati, a Scauri ho imparato a nuotare, a prendere cozze, ad andare in barca, mi divertivo e ricordo con grande affetto quegli anni. Guarda questo video, me lo ha mandato mio cugino qualche giorno fa, sono io insieme ai miei fratelli e ai miei cugini sulla spiaggia di Scauri…