Ho avuto il privilegio di incontrare ancora una volta e, in questa occasione, anche di intervistare, nella splendida cornice del Golfo di Policastro, il Maestro Enrico Vanzina. Sceneggiatore, regista e produttore cinematografico, giornalista e scrittore, Enrico è il primogenito del grande regista e sceneggiatore Steno (pseudonimo di Stefano Vanzina) e di Maria Teresa Nati e fratello del compianto regista e produttore Carlo Vanzina. Nel corso della sua straordinaria carriera ha ricevuto una moltitudine di riconoscimenti nazionali ed internazionali tra cui spicca il David di Donatello. In una calda serata estiva, guardando il mare e in compagnia di un gradevole aperitivo, ho parlato con il buon Enrico di Risi e di Monicelli, di Toto e dei De Filippo, della vecchia cara Commedia all’italiana, di Peppino di Capri e di Luciano De Cescenzo, del Golfo di Napoli e della sua AS Roma ed ho trovato, come nelle precedenti occasioni, un interlocutore attento e disponibile, modesto e molto codiale.

Allora Maestro, iniziamo con la domanda che, come le ho detto durante il caffè, mi ha chiesto di porle una “certa” Giovanna, che desidera sapere perché lei ha dichiarato che sarebbe felice di un eventuale inserimento, nelle scuole, della Commedia all’italiana. Probabilmente, aggiunge la “Dama bionda”, perché rappresenterebbe la fotografia di un periodo storico che i ragazzi di oggi non hanno vissuto ed è giusto, invece, conoscano?

Ho detto una cosa che penso da tantissimi anni, ovvero che forse se nei tre anni di liceo un’ora o due a settimana o ogni quindici giorni, si proiettasse un film della Commedia all’italiana, si farebbe un grande regalo ai giovani di oggi. Insegno all’Università e tocco con mano che oggi i giovani non hanno assolutamente idea di che cosa sia questo Paese, della sua storia e del suo percorso, ma sanno invece quasi tutto delle periferie di Los Angeles e del Bronx. I ragazzi leggono poco, si legge molto poco e questo non agevola e per questo credo che li si aiuterebbe molto con alcuni film della Commedia all’italiana che è stata fatta da enormi intellettuali. Pensiamo alle produzioni di mio padre con Monicelli, per esempio “Guardie e ladri” con Totò e Fabrizi oppure oltre a mio padre Steno e a Monicelli, come le ho appena detto, a Ennio Flaiano, Marco Risi e Vitaliano Brancati, qui insomma c’è il massimo della letteratura italiana di allora – che con uno sguardo lucido e affettuoso, talvolta meno affettuoso ma sempre lucido comunque – ha raccontato quell’epoca in maniera reale e senza esprimere giudizi o condanne. Pensiamo a “Divorzio all’italiana” di Pietro Germi, che capolavoro è stato? I ragazzi di oggi sanno che fino al 1960 e poco più se si ammazzava la moglie che tradiva non si passavano grandi guai? No, non lo sanno! Quel film li aiuterebbe a comprendere che c’era un pregiudizio enorme verso le donne e una ingiustizia clamorosa verso di loro che non erano tutelate e sarebbe uno spunto per un approfondimento sulla terribile e sempre più diffusa, purtroppo, problematica del femminicidio. Voglio farle qualche altro esempio di film della Commedia all’italiana che sarebbe bello ed utile far vedere agli studenti per il modo puntuale con cui fotografa un’epoca. Mi riferisco alla “Grande Guerra” o a “In nome del Popolo italiano” nei quali si affrontano tematiche di primario interesse e di grande attualità che erano stati già visti e posti sotto la luce dei riflettori ben quarant’anni fa. Del resto anche “Un americano a Roma” o “Un giorno in Pretura” raccontano drammi e situazioni di un tempo rimasti in qualche modo irrisolti se non addirittura amplificati ai giorni nostri e il mondo della sanità? Tanto criticato oggi, non era forse già rappresentato mirabilmente nel “Medico della mutua”? Le ho fatto, amico mio, solo alcuni esempi di Commedia all’italiana che da un lato divertirebbero moltissimo per il modo in cui si pongono e dall’altro catturerebbero l’attenzione perché il mezzo visivo certamente è molto più alla portata dei ragazzi di oggi e permetterebbe di fare un ragionato excursus su un’epoca non vissuta dai giovani ma che devono comunque conoscere. Ho un piccolo osservatorio personale che reputo molto attendibile e le dico che la mia idea della Commedia all’italiana nelle scuole è finita su Instagram ed ho ricevuto migliaia e migliaia di messaggi di persone, anche colte, importanti ed autorevoli che sono d’accordo con la mia idea. Ho lanciato insomma un sasso, però ora si deve discutere tanto e vedere se è fuori luogo o, viceversa, apprezzabile, perché io non sono assolutamente d’accordo con chi da anni dice che la Commedia è un genere minore anzi io dico che è un genere spesso addirittura maggiore. Spero di aver risposto in maniera esaustiva a Giovanna, poi mi faccia sapere.

Beh, direi proprio di sì Enrico. Passo alla prossima domanda. Sceneggiatore oltre che regista, produttore, scrittore di innumerevoli produzioni, in quale parte si sente più a suo agio?

Beh, intanto anche giornalista perché il mio secondo lavoro è proprio quello di giornalista ma comunque in tutti ruoli in cui mi sono cimentato e mi cimento cerco di dare sempre il massimo, poi è il pubblico che deve esprimere il giudizio finale. Per quanto mi riguarda io mi trovo bene in tutti i ruoli senza preferirne uno all’altro tanto l’impegno e la passione che metto in ogni cosa che faccio.

Una serie di innumerevoli successi in coppia con il compianto fratello Carlo. Qual è stato il segreto di questo fantastico sodalizio dal punto di vista professionale? 

Ma non lo so, me lo domando anche ancora oggi, in realtà Carlo voleva da piccolissimo fare il cinema e non c’erano dubbi che lo avrebbe fatto, mentre io invece volevo sfuggire a questa specie di cosa che vedevo anche in casa e volevo fare lo scrittore e basta mentre poi invece sono stato trascinato dentro e ho fatto centoventi film. Non abbiamo mai, Carlo ed io, avuto una discussione e insieme a lui ho fatto ben sessanta film insieme. Eravamo eredi di una Commedia all’italiana che vedeva quello che succedeva e lo rappresentava, come le ho detto, senza mai giudicare ma così come era la realtà, in maniera leggera, serena. L’altra sera passeggiando con il mio amico Carlo Verdone ci siamo chiesti … ma che abbiamo fatto? Abbiamo spiato gli italiani, li abbiamo inseguiti, studiati e rappresentati nei nostri lavori, senza mai criticarli o condannarli. Li abbiamo guardati con affetto e talvolta anche con orrore ma sempre cercando di evitare di dire hai torto, hai sbagliato, sei uno schifoso, quello è il buono e quello il cattivo. No, non abbiamo mai giudicato. Figli di un’altra scuola, di un’altra epoca, ecco, questo è quello che pure con il mio caro fratello Carlo ho fatto. Sempre! Aggiungo che uno può avere le proprie ideologie, per carità, ma mio fratello ed io sapevamo bene che non dovevano influire sui nostri lavori e questa cosa ci ha permesso di lavorare in grande sintonia .

Oltre che con Carlo ha lavorato insieme ad altri illustri nomi del cinema italiano. A quale interprete è maggiormente legato?

Ho avuto il grande piacere di lavorare anche con mio padre per cui è chiaro che emotivamente questa cosa è stata molto coinvolgente e mi è rimasta e mi rimarrà per sempre nel cuore. Ho avuto un rapporto molto buono umanamente con Dino Risi ma in genere con tutti i grandi Maestri con cui ho lavorato, ho avuto più o meno rapporti di grande stima ed affettuosa amicizia.

Una delle prime sceneggiature in assoluto, è “Febbre da cavallo”, film diretto dal compianto papà Steno. Qualche aneddoto su questo film che è diventato un “cult”? 

Aneddoti? L’aneddoto più importante è che mio padre non voleva assolutamente che io facessi il cinema ma in realtà io avevo già cominciato perché avevo fatto un film con Lattuada e poi uno con mio fratello e siccome questo film si basava sul gioco dei cavalli ed io ero un giocatore di cavalli fu costretto a chiamarmi e la cosa che ricorderò sempre è che alla fine del film c’è un processo con un giudice interpretato da Adolfo Celi che si scopre più giocatore degli imputati. Gigi Proietti fa un bellissimo monologo che io scrissi proprio davanti a mio padre che leggendo questa parte mi disse “tu da grande potrai fare il cinema”.

Questa è stata una medaglia per lei.

Bravo, sì, sì Ercole, lei ha ragione, questa sentenza di mio padre è stata proprio una medaglia che porto ancora oggi nel mio cuore.

Quarant’anni da “Sapore di mare” e da “Vacanze di Natale”, capostipiti del filone vacanziero, nostalgico e natalizio. In che cosa eravamo diversi allora e in che cosa era diverso il cinema e in che cosa invece siamo uguali ancora oggi? 

Sono due film molto diversi, se “Sapore di mare” è un film leggermente autobiografico, dove abbiamo raccontato cosa erano state le nostre esperienze da giovani al mare negli anni Sessanta, l’altro invece è un’osservazione, in quel momento, di una realtà, di una società, soprattutto di una borghesia in grande trasformazione. Sono due film completamente diversi, il primo ha un passo molto romantico che tutte le generazioni hanno vissuto, chiunque rivede anche oggi quel film ci trova qualcosa di suo, che lo riguarda. “Vacanze di Natale” è uno sguardo abbastanza spietato sulla borghesia che si affacciava al benessere degli anni Ottanta e che rinuncia all’essere per l’avere con uno scontro – se vogliamo – anche di classi sociali piuttosto interessante. La mamma, nel film, cafona ma ricca dell’amico di Amendola e che apparteneva ad una più che benestante famiglia di costruttori dice al figlio quasi con disprezzo, riferendosi proprio alla famiglia di Claudio, che era una famiglia popolare romana ma molto ricca … l’Italia socialista. Sa cosa è cambiato? Che quella signora oggi vota PD e che la famiglia popolare vota a Destra. Cosa è successo? È successo qualcosa di enorme, non so cosa ma di enorme.

Ci sono anche altre sceneggiature tipo “Eccezzziunale veramente”, “Al bar dello sport” o “Fratelli d’Italia”, solo per citarne alcune, in cui immagino che già aveva in mente chi fosse il protagonista, perché sembrano proprio tagliate su misura per Abatantuno, Banfi, De Sica e Massimo Boldi. 

Nascono prima i film e poi, dopo, gli attori però è logico che ci sono le eccezioni tipo Villaggio che scrive Fantozzi ed è normale che in questo caso nasce prima Fantozzi. Per ritornare a “Eccezzziunale veramente” con Diego, con il quale già avevo lavorato e mi accumunava l’amore per il calcio, decidemmo di raccontare insieme chi sono i tifosi e facemmo questo film. “Eccezzziunale veramente” insieme “All’allenatore nel pallone” e a quello di Sordi, “Il Presidente del Borgorosso Footbal Club” è tra i pochi film della Commedia all’italiana che racconta il calcio.

Degli oltre 100 film sceneggiati, ce ne è almeno uno che nella testa immaginava diverso rispetto a quello che poi invece è risultato sugli schermi? 

No, certi pensavo che sarebbero andati meglio e sono andati peggio e viceversa. Un vero mistero, pensi una cosa e ne succede un’altra ma il risultato è il consenso del pubblico e della critica e questa cosa è difficilissima da immaginare prima. Il risultato è dato dal testo, da come sono vestiti, da come si muovono, da quello che dicono, da quello che fanno, da una serie infinite di variabili. Una delle cose veramente facili del cinema è capire un film dalla scrittura poi dopo può essere interpretato male, può essere ambientato male, può essere diretto male e possono esserci anche delle musiche brutte, la fotografia sbagliata però il film in sé lo giudichi dalla scrittura. 

A quale dei suoi centoventi film è più legato e perché? 

Non lo so, sono legato a tantissimi però non quelli che lei si aspetta e certamente non quelli che hanno avuto più successo. Sono legato all’ultimo che ho fatto con mio fratello Carlo, ecco, quello sì. Sto parlando di “Caccia  al Tesoro” con Salemme, Buccirosso e Serena Rossi.

Il periodo d’oro della Commedia all”italiana sembra passato, è finito. Qual è il pensiero di uno dei massimi esponenti, vincitore, tra l’altro, del David di Donatello? 

Il problema è molto complesso, la Commedia all’italiana nasce perché delle generazioni hanno osservato questo Paese e lo hanno raccontato, senza giudicarlo ma rappresentandolo così come lo vedevano. Negli anni Ottanta, in cui c’era un cinema di un certo tipo, quello di Sordi e Celentano, hanno iniziato ad emergere dei giovani, Carlo Verdone, Massimo Troisi, Francesco Nuti, Roberto Benigni e noi che come loro, insieme a loro, abbiamo raccontato la nostra generazione. In maniera più politica l’ha fatto anche Nanni Moretti. Ogni generazione ha avuto qualcuno l’ha raccontata fino ad arrivare a Muccino. Insomma, c’è stato un ricambio ma poi è arrivato il grande problema, quello che viviamo oggi e che vede i ragazzi considerare il cinema una quarta scelta, non più una prima o una seconda scelta ma addirittura una quarta scelta. I ragazzi di oggi sono più interessati a film sui disagi urbani, sulle periferie, sui rom, sulla delinquenza, sui disagi periferici, quelli sì, perché sono tutti ragazzi che fanno dei film per andare ai Festival ma chi sono i ragazzi di oggi, come vivono, come amano, come scopano, come ballano, quello che pensano non lo sappiamo, per cui c’è un vuoto pazzesco e la Commedia all’italiana non esiste più per cui è finito quello sguardo anche divertito che solo quel tipo di Commedia, peraltro ricca di contenuti, sapeva fare. L’unico, forse, che in qualche modo ancora resiste e che è il più bravo di tutti è Checco Zalone, che ha scelto la strada che era di Totò, si è messo dalla parte dell’ignorante che critica ma dice la verità. Zalone non ha paura del politicamente corretto, se ne frega e dice quello dice delle cose così al volo come fa l’ignorante ma che poi capisci sono ben ragionate e ben pensate. Ecco, lui è bravissimo. 

Che emozione Le ha dato il David di Donatello ? 

Non enorme però di grande soddisfazione per il l’impatto fortissimo con il Presidente della Repubblica che stimo molto. Non enorme perché i premi più grandi me li ha sempre dati il pubblico poi è chiaro che è una soddisfazione enorme stringere la mano del Presidente della Repubblica e sentire la motivazione dell’alto riconoscimento che è anche, ovviamente, un riconoscimento alla Commedia all’italiana. Comunque io dico sempre che il più bel premio della mia vita è stato essere andato a Natale a trovare in ospedale una persona che stava molto male e alla quale volevo e voglio molto bene. Era in gravissime condizioni e divideva la stanza con altre persone. A quel tempo c’erano i videoregistratori dove si infilavano le vecchie cassette oggi desuete. Mentre salivo le scale del Policlinico sentivo fragorose risate provenire da quella stanza perché i pazienti stavano vedendo un mio film. Questa è stata per me un’altra medaglia, essere riuscito con un mio film a distrarre e far ridere persone gravemente malate.

A Soriano nel Cimino, qualche mese fa, eravamo insieme ad Andrea Purgatori.

Un amico carissimo per me, un giornalista serio e preparatissimo, una grandissima perdita per il giornalismo e per la cultura italiana.

I miei amici Angelo S. e Sara S. (Magistrato e Avvocatessa), napoletani doc, che sono qui con noi, vogliono farle una domanda.

Certamente, prego.

Maestro, il suo cinema nasce e vive nel contesto romano ma c’è molta Napoli, qual è il suo rapporto con la nostra città?

C’è molta Napoli e c’è anche molta Milano. Per rispondere alla vostra domanda sul legame che ho con Napoli posso dirvi che sono stato concepito a Sorrento, ho fatto la gavetta da aiuto-regista di mio padre a Napoli nelle varie serie di “Piedone lo sbirro” e le successive, sono cresciuto ed ho frequentato molto Toto perché mio padre era il suo regista anzi, devo correggermi, ho conosciuto il Principe De Curtis e sul set Toto. E, ancora, sono cresciuto con una grandissima amicizia con la famiglia De Filippo, ero grandissimo amico di Luca e Luigi, i figli di Edoardo e Peppino che vi svelo era l’attore preferito di mio padre. Sono stato grande amico di Enzo Cannavale, sono amico di tutta la famiglia Maggio, di Dante e di tutti gli altri. Sono stato uno dei migliori amici di Luciano De Crescenzo, sono grande amico di Peppino di Capri, lavoro da anni e sono amico di Salemme, Buccirosso, Biagio Izzo, la Laurito, Tosca D’Aquino. Sono sessant’anni che vado in vacanza solo nel Golfo napoletano, la mia vita insomma senza Napoli non sarebbe stata la stessa ed io stesso sarei stato diverso. Può bastare tutto questo?

Torno io Enrico e Le chiedo, come arriverà la Roma quest’anno? 

È un calcio molto cambiato che non mi piace più come una volta. Un calcio dei soldi, un calcio degli Arabi, un calcio degli ingaggi, dei procuratori, un calcio insomma diverso dal mio ma continuerò a farmi un fegato grosso così per la Roma che è la passione di una vita.

Non ci sono più, Enrico, quei gol in fuorigioco di Turone.

Ahahah, tanto per rimanere in tema di fegato grosso, ahahah.

Ultima ma non ultima: qual è il modo migliore per far continuare a vivere quello che era il sodalizio con Carlo?

Continuo a pensare che la parte scritta sia quella più importante in un film. In un ristorante ideale romano che non esisteva ma era ed è nella mia testa e si chiamava “Steno, Carlo ed Enrico” ora mancano Steno e Carlo e quindi tocca ad Enrico lavorare in cucina, servire a tavola, lavorare alla cassa, fare tutto insomma, ma c’è una sola cosa che non è cambiata, il menù è sempre lo stesso! 

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