Per anni mi sono confrontato con il giudice Cricenti sulle tempistiche relative alle pubblicazioni delle sentenze, sullo straordinario mare di Scauri, sulle Forze Armate e sulla Juventus (lui contro, io pro Allegri) sui vini rossi, i film d’epoca e le cravatte. Di lui penso il meglio: cultura immensa, eleganza, stile, determinazione e quella pungente ironia che solo “i pazzi” come noi sanno avere e diffondere. Geniale dal punto di vista giuridico, il magistrato Giuseppe Cricenti, Consigliere di cassazione e  docente universitario ha parlato oggi con me, dinanzi ad un caffè, della riforma della giustizia promossa dal Governo.

L’Associazione Nazionale Magistrati ha espresso un “giudizio fortemente negativo sulla riforma costituzionale dell’ordinamento giudiziario che non è una riforma della giustizia, che non sarà né più veloce né più giusta, ma una riforma della magistratura che produrrà solo effetti negativi per i cittadini”. Qual è il tuo pensiero?

Intanto una riforma della magistratura è, di per sé, anche una riforma della giustizia. Il giudizio mi sembra poi l’esito dell’ennesimo ragionamento per slogan e frasi fatte. Perché mai ad esempio dal fatto di scegliere i membri del CSM mediante sorteggio dovrebbe derivare un danno per i cittadini?

Entrando nel merito della riforma, qual è la tua opinione sui due punti focali della separazione delle carriere e delle modifiche sul CSM?

Quanto alla separazione è evidente che essa è intesa dal governo come strumentale ad una maggiore imparzialità del giudice. Se è così la ritengo inutile o, meglio, non funzionale. Io non penso che il giudice sia parziale, penso che il giudice non funzioni oggettivamente: se si registra la metà delle assoluzioni a dibattimento vuol dire che il giudice per le indagini preliminari non funziona come dovrebbe. Non credo che separando le carriere questo problema si risolva. Piuttosto occorre rendere il GIP/GUP più efficiente, magari prevedendolo in alcuni casi, come collegiale. Ed inoltre occorre reclutare meglio i giudici e fornire loro un migliore aggiornamento professionale. Quanto al sorteggio, sono del tutto favorevole. Non necessariamente implica avere al CSM dei consiglieri meno adeguati del passato. Anche con il sistema delle elezioni sono stati scelti personaggi di terza fila, e quarta fila, propensi solo a fare l’interesse proprio e quello dei loro sodali. Ne ricordo uno, non tanto tempo fa, che mi ricorda il “Cetto Laqualunque” della Magistratura: parla l’italiano traducendo dal dialetto. Del resto, chi è abituato a fare il giudice, è altresì abituato a risolvere problemi ben più complessi di quelli di cui si occupa normalmente il CSM. Quindi credo che il sorteggio, da questo punto di vista, non porterà ad abbassare il livello del Consiglio. Inoltre, consentirà di ridurre, se non eliminare, l’influenza delle correnti, o delle consorterie. Qualche perplessità ho sulla creazione di una apposita corte disciplinare. Credo che la sua istituzione sia dettata dall’erronea percezione che si ha dei giudizi disciplinari. In realtà il CSM non è stato in questo ambito, in passato, così corporativo come si tende a far credere: anzi, ha agito con maggior rigore di ogni altro organo di autodisciplina. E, per contro, si rischia di affidare la disciplina dei magistrati a soggetti antagonisti, per così dire, in questo caso minando effettivamente l’indipendenza della Magistratura.

L’ANM ha messo in campo una serie di iniziative contro la riforma. Che cosa pensi delle manifestazioni di dissenso, con anche l’abbandono delle Aule, adottate in occasione dell’inaugurazione dell’Anno Giudiziario presso le Corti di appello?

Abbandonare l’aula in quel modo, mentre parla un rappresentante delle istituzioni, è stato un gesto di scarsa sensibilità. Una caduta di stile. Che avrebbero detto i magistrati se mentre parlava uno di loro, se ne fosse andato il ministro o un suo rappresentante? Ma, al di là dello stile, su cui ognuno ha la propria sensibilità, la singolarità di quella protesta io l’ho vista nel fatto che in una importante Corte d’Appello, il primo ad alzarsi ed a guidare gli altri è stato un magistrato appena condannato per avere occultato prove a favore di un indagato: cosa che di certo quella Costituzione, che costui teneva ben alta, mi pare vieti in modo deciso.

Un’ulteriore iniziativa di forte dissenso programmata è quella dello sciopero del 27 febbraio. Poiché il successivo 5 marzo si svolgerà l’incontro tra i vertici dell’ANM e la Presidente del Consiglio dei Ministri Giorgia Meloni, non sarebbe stato opportuno prima il dialogo e poi, eventualmente, lo sciopero?

Certamente. Io penso che, se si portano ragioni, e non slogan, si riesce a convincere chiunque.

Il dialogo appare tutto in salita, viste le posizioni intransigenti delle parti. Da un lato il governo e la maggioranza parlamentare, con diversi membri di quest’ultima che hanno già fatto filtrare la loro contrarietà a modificare il testo della riforma, che sta seguendo un iter parlamentare considerato “blindato”. Dall’altro l’ANM che ha ribadito la ferma contrarietà dei magistrati alla riforma sottolineando che un incontro servirà “per spiegare una volta di più con chiarezza, fermezza, lucidità e senza nessun cedimento quelle che sono le nostre ragioni soprattutto di cittadini e anche di magistrati” ed ancora che: “la magistratura italiana non vuole trattare per una modifica della riforma, ma auspica un ripensamento radicale e il ritiro di quel testo da parte del governo – ha osservato – Autonomia e indipendenza non sono materie negoziabili”. Non pensa che l’intransigenza finisca con tradursi in un errore a prescindere?

Gli organi rappresentativi della Magistratura invocano spesso i valori  dell’autonomia e dell’indipendenza, che sono sacrosanti, ma che spesso non sono affatto compromessi dalle riforme della giustizia. Si tratta di slogan, che vengono ripetuti ad ogni tentativo di riforma. Piuttosto la questione è altra: l’Anm fino ad ora ha quasi sempre negato se non trascurato il problema principale della giustizia penale, ossia il fatto che essa coinvolge un numero considerevole di cittadini, che per anni subiscono processi, o privazioni della libertà personale e poi vengono assolti. Lo ha talmente tanto trascurato questo problema che sento spesso dire che, se il cinquanta per cento degli imputati è assolto, vuol dire che la giustizia funziona. In ogni serio paese si direbbe il contrario. Una buona metà degli imputati assolti è segno di una giustizia che non funziona affatto, poiché essa assoggetta a processo ed a volte, non poche, a restrizioni della libertà personale, cittadini che invece risultano infine da assolvere. Questo atteggiamento, che ho notato anche in magistrati autorevoli, o almeno ritenuti tali, spiega perché si sia arrivati a questo punto. Negare il problema significa ovviamente ritenere non necessaria alcuna riforma, ed opporsi ad essa qualunque sia. Forse sarebbe stato atteggiamento più concreto quello di ammettere che quella statistica è segno di mal funzionamento, ma discutere sui rimedi, opporsi semmai ai rimedi e proporne altri.

Una delle critiche più forti mosse alla riforma è che non affronta realmente le priorità e i problemi della giustizia, dalla lunghezza dei processi alla mancanza di risorse umane, economiche e tecnologiche adeguate.  Quindi la migliore soluzione sarebbe rimanere fermi, lasciando tutto immutato, in attesa di (si spera) tempi migliori e di eventuali riforme migliori?

Come ho detto prima, non mi ricordo di concrete proposte della ANM, o di qualche suo epigono, volte a risolvere il problema, proprio perché è il problema che viene negato o sottovalutato. Se si propone di riformare in senso più garantista la custodia cautelare, i magistrati obiettano che in tal modo si lede l’indipendenza della magistratura, fandonia a che non ha fondamento alcuno, ed alla quale fornisce grancassa una buona parte del giornalismo antagonista. E così, se si propone, come è stato fatto in passato, di non pubblicare il nome del Pm che segue una certa inchiesta, per evitare atteggiamenti di protagonismo, che pure ci sono stati, si replica che è lesa la libertà di stampa, o ancora una volta l’indipendenza ed autonomia della magistratura. Anche qui con grancassa di giornalisti antagonisti al seguito. È di questo passo che si è arrivati alle riforme di oggi.

L’esplosione del contrasto sulla riforma è arrivata dopo mesi di scontro tra magistratura e politica su vari terreni, dalla questione del trattenimento dei migranti in Albania al caso Almasri, fino alla vicenda del Procuratore Capo di Roma Lo Voi. In questo modo, non pensi che i cittadini, faticando a comprendere certe dinamiche, rafforzino sempre di più in generale disamore verso le Istituzioni ed in particolare la convinzione che il bene comune della “Giustizia” spesso non sia realmente perseguito o, peggio, sia barattato con altri interessi?

In questo caso entrambe le parti ci hanno messo del proprio. Il risultato è che i cittadini non hanno capito alcunché, non sanno cosa sia successo veramente. In uno Stato “adulto”, ma noi abbiamo solo 154 anni di storia, non sarebbe successo.

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