Un pomeriggio bellissimo nel cuore di Roma, a San Lorenzo in Lucina – la mia piazza – con Gigi Martini, un giovanotto di settantasette anni che nella vita ha fatto tutto: il calciatore, il pilota civile, il parlamentare, il Presidente dell’Enav e che oggi è Console Onorario della Repubblica del Congo in Italia, manager di una holding, scrittore e navigatore. Grande stile, grande eleganza, savoir faire, senso dell’ospitalità e una loquacità spesso negatagli dall’opinione pubblica ma che con me è sempre emersa sia nei contatti telefonici sia negli incontri de visu. Un pomeriggio a parlare del calcio delle “figurine Panini”, di politica, cielo, mare e scrittura ed intervallata da due piacevolissime conversazioni telefoniche “a tre” con due campioni ed amici del passato: Bruno Giordano e Renato Miele.
Luigi Martini, classe 1949, toscano di nascita, calciatore, pilota, politico, navigatore e… molto altro. Ho letto una tua frase che ritengo bellissima: “Sei calciatore fino a quando scendi in campo, ma sei pilota per tutta la vita”, quindi è giusto chiamarti “Comandante” Gigi Martini?
Sì, io quando mi chiedono che lavoro ho fatto rispondo istintivamente il pilota perché il pilota deve adattare il suo comportamento al volo e di fatto questa cosa finisce per modificare tutti gli aspetti della tua vita. Quando salgo in macchina prima di girare la chiave per mettere in moto il motore, controllo che tutte le utenze siano staccate perché altrimenti la batteria soffre. Un esempio che dimostra come il pilota, sia per deformazione professionale, sempre attento ad ogni cosa che fa; anche quando cammino a piedi mi guardo attorno e vedo se c’è un ipotetico pericolo.
Quello che hai appena detto mi fa tornare alla mente che una mia conoscente mi disse che un suo amico pilota le aveva detto che ogni volta che parte per qualche giorno ha dei rituali precisi per essere sicuro di aver chiuso acqua e gas.
Certo, è l’attenzione alle cose e alla sicurezza dei piloti, di cui ti ho appena detto.
Bene, credo sia giusto andare per ordine. Parliamo del Martini calciatore: come e quando è nata la passione?
La passione è nata quando avevo sei anni e andavo a scuola con la cartella sulle spalle da solo. Erano circa due i chilometri che dovevo fare da casa mia per raggiungere la scuola e un giorno trovai una palla; faceva molto freddo, c’era tramontana, era inverno e questa palla era indurita dal gelo perché era bucata. La raccolsi e la portai per quei due chilometri dietro facendo una partita immaginaria. Da lì, proprio da lì, nacque la mia passione!
Hai fatto parte di una squadra leggendaria: la Lazio che vinse lo scudetto del 1974. Altre squadre hanno vinto lo scudetto (mi vengono in mente il Cagliari, il Verona, la Sampdoria, la stessa Lazio nel 2000), ma nessuna è entrata nel “mito” come invece ha fatto quella Lazio. Come te lo spieghi?
Si pensa al mito perché eravamo undici ribelli, undici anarchici a cui davano dei fascisti ma ripeto eravamo undici anarchici. Abbiamo vinto noi, non solo abbiamo vinto lo scudetto ma abbiamo vinto lo scetticismo di tutti e di quanti ci davano addosso, a partire da Gianni Brera che ce l’aveva con noi perché vincevamo e diceva “che avevamo un gioco caotico e che non si capiva niente” e invece si capiva bene eccome se si capiva! Per continuare con Pasolini, che era un uomo di cultura molto seguìto oltre che un regista cinematografico, che diceva “un manipolo di fascisti ha vinto lo scudetto”. Era tutto un denigrarci e darci addosso e noi ci siamo sentiti soli contro tutti e abbiamo vinto, è quella la vera vittoria, non tanto lo scudetto ma come lo abbiamo vinto.
Nel definire quell’impresa hai dichiarato (anche polemicamente): “un manipolo di uomini liberi ha vinto lo scudetto in Italia”. Sottolineo il termine “uomini” e l’aggettivo “liberi”. Non li hai usati a caso, vedo.
No, li ho usati con grande attenzione per rispondere a Pasolini perché nessuno aveva risposto e perché la differenza tra essere fascisti ed essere uomini liberi è esattamente l’opposto. Sono un uomo libero e i fascisti secondo me, senza criticarli perché non li ho conosciuti e di quel regime me ne ha parlato solo mio padre, certamente non erano un esempio di libertà. Tengo moltissimo alla democrazia e alla libertà di agire e di espressione.
Dalla Serie B allo Scudetto, quella Lazio aveva al timone un allenatore rivoluzionario, pioniere del cosiddetto “calcio totale“: Tommaso Maestrelli. Ma per voi non era solo un allenatore, ma molto, molto di più. Vero?
Intanto ti dico, Ercole, Tommaso era un capo partigiano che aveva salvato trecentosessanta partigiani e aveva combattuto i nazisti nei Balcani. Pensa tu, un partigiano a capo di undici fascisti, poteva mai essere vero? Comunque, per ritornare all’aspetto sportivo, Tommaso è stato più di un allenatore, è stato un padre, un maestro, un timoniere come hai detto tu. Era uno tra i migliori allenatori in circolazione ed aveva vinto due Seminatori d’Oro con Foggia e Reggina e non con Juventus e Milan, per cui era un grandissimo conoscitore di calcio. Le sue qualità tecniche erano oscurate dalla sua grande capacità di entrare dentro le persone e metterle a proprio agio e farle rendere al massimo quindi ritorno a dirti che era più di un allenatore e anche più di un padre, ammesso che possa esserci qualcuno più di un padre.
Le due “fazioni”, le storiche “partitelle” infrasettimanali, le armi in ritiro, Lazio-Ispwich, lo scudetto vinto il giorno del referendum abrogativo sul divorzio e tante altre cose. Per ragioni di tempo ti devo chiedere di citarmi solo un aneddoto, magari uno di quelli meno conosciuti.
Capirai ce ne sono tantissimi e moltissimi sono conosciuti ma voglio raccontarti quello del primo derby con la Roma nell’anno dello scudetto, il derby di andata. Noi eravamo in ritiro nei pressi dell’Aurelia in mezzo ai prati, in mezzo ai campi e i tifosi della Roma con una trentina di macchine con i fari accesi vennero a suonare i clacson per non farci dormire. Da lì a qualche minuto furono sparati da noi centinaia di colpi in aria e qualcuno disse che, si era sparato ad altezza d’uomo, ma così non fu assolutamente. I tifosi si impaurirono e scapparono via in fretta e in quel caos ci fu anche un incidente che coinvolse alcune di quelle macchine in fuga.
La tua amicizia con il compianto Re Cecconi. Vi chiamavano “i gemelli”: ma è vero che vi eravate conosciuti già durante la “leva” e che insieme avete addirittura fatto un corso da paracadutisti?
Ci eravamo conosciuti alla Cecchignola, nella Compagnia Atleti, lui giocava con il Foggia io con il Livorno e poi andai alla Lazio. L’anno che risalimmo in serie A, Maestrelli volle Re Cecconi e noi che già ci conoscevamo diventammo ancora più amici. Dopo lo scudetto io mi iscrissi ad un corso di paracadutismo con i paracadutisti di Pisa e lui che inizialmente non era d’accordo alla fine poi decise di seguirmi. Da lì nacque una vera e propria fratellanza.
Nel 1979, a nemmeno trent’anni, lasci la Lazio e sostanzialmente termini la tua carriera da professionista. Come e perché hai maturato una scelta così drastica?
Io giocavo come tutti in quella Lazio, con l’anima e con la passione, ma quei sentimenti finirono con la morte di Maestrelli e di Re Cecconi, vennero meno le mie motivazioni e la voglia di continuare a giocare con quei compagni, per quella squadra, per quella maglia. Iniziavano a mancare gli amici, uno dopo l’altro, e io ero appassionato di volo, avevo già tutte le relative licenze ed avevo già studiato per cinque anni. Capitò l’occasione e lasciai perdere con il calcio.
Per la verità, dopo la Lazio hai avuto una breve parentesi nel calcio degli “States”. In un certo senso in questo sei stato un precursore dei tempi (insieme a Chinaglia).
Sì, sì, certo, io lì ho avuto la fortuna di giocare coi migliori giocatori al mondo, quella è stata la mia vera chiusura con il calcio. Negli States, in quel calcio, c’erano Pelè, Chinaglia, George Best, è stata una bellissima esperienza che mi porto dentro.
Martini pilota civile, perché?
Mi sono incuriosito quando sono salito a bordo di un aereo militare con il paracadute per il primo lancio. Vedevo ammirato quell’aereo e quello che facevano i piloti e pensavo a come quel pezzo di ferro, per dirla semplicemente, fosse una macchina così altamente tecnologica e da lì nacquero la curiosità e la passione. Un amico pilota che mi aveva portato in volo con lui e mi aveva lasciato per qualche istante sull’aereo e io lo guardavo con gli occhi sgranati di un di un bambino e pensavo a quanto potesse essere bello pilotare e da lì nacque il Martini pilota.
A un certo punto, però, scegli di interrompere anche la tua seconda vita e ti dedichi alla politica venendo eletto due volte deputato con Alleanza Nazionale. Domanda scontata: che cosa è la politica per un uomo come Gigi Martini?
Non ho lasciato il volo per fare politica ma facevo tutte e due le cose contemporaneamente. La politica l’ho abbracciata per caso, abitavo a Collina Fleming e stavo passeggiando quando incrociai Storace che stava inaugurando un circolo di Alleanza Nazionale. Un mio amico che si trovava lì me lo presentò e dopo qualche sfottò su Lazio e Roma, Storace mi chiese se avesse potuto candidarmi. Era il ventennale della vittoria dello scudetto, ancora pilotavo e non avevo un’idea precisa di come ci si dovesse comportare in campagna elettorale ma accettai la candidatura e continuai a lavorare. Non partecipavo ad incontri, non c’erano i miei cartelloni pubblicitari nelle strade e Storace mi chiamò per sollecitarmi ad impegnarmi e a portare voti; la domenica dopo c’era Lazio – Juventus ed io contattai due capo-tifosi della Lazio che mi accolsero come un mito in curva inneggiando a me e portandomi la settimana successiva ben ventiseimila voti. Poi mi ci son dedicato con passione perché la politica o la fai con passione o è meglio non avventurarsi proprio perché è un lavoro serio. Abbiamo fatto varie riforme, io ho partecipato a quelle del trasporto aereo ovviamente e mi vanto con gli amici piloti di essere stato il fautore di mettere un pilota in consiglio d’amministrazione così come metterei un calciatore alla FIGC.
Siamo arrivati al Martini “navigatore”. Dopo la morte di Re Cecconi hai dichiarato: “Lì imparai che la vita può toglierti tutto in un attimo. […] L’incertezza aumenta a mano a mano che passa il tempo, a mano a mano che invecchio. E questo mi lega sempre più al mare, al vento, alle onde, al sole”.
Quello che ti rimane dentro del lavoro di pilota è lo studio delle carte meteorologiche perché dalla meteorologia dipende la sicurezza o meno di un volo ed è una grande soddisfazione quando leggendo le carte riesci ad evitare le turbolenze per una barca al mare come per l’aereo in aria, da questo punto di vista cambia poco o nulla. Mi sono comprato una barca e ci ho addirittura vissuto sette anni dentro a Cala Galera, avendo una casa lì, a soli cinque chilometri. Dormivo in barca, vivevo in barca e questo perché la barca devi viverla così, non puoi prenderla ogni tanto se vuoi fare lunghi viaggi, cosa diversa se vuoi fare un bagno allora puoi avere un motoscafino o un gommone ma se vuoi viaggiarci la barca devi viverla. A parte il Mediterraneo, che ho fatto tutto e conosco benissimo isola dopo isola conosco bene anche Grecia, Baleari e ho fatto due volte l’Atlantico; da Cala Galera sono settemila miglia, trentadue giorni di navigazione e poi ho fatto Antigua ove ho vissuto per sei anni ed ho ancora una casa.
In definitiva tra il prato verde di uno stadio, il cielo o il mare, cosa scegli?
Eh, domanda difficile, diciamo il cielo e il mare.
Come se non bastasse: paracadutista, Presidente dell’Enav, scrittore (è giusto citare la tua bellissima autobiografia “Sogni perduti” ma anche “La Lazio nella leggenda” scritto in occasione del cinquantennale dello scudetto). Dimentico qualcosa? Progetti per il futuro ne abbiamo?
Ahahah, pensa ho anche amici che mi esortano a scrivere ma anche Oddo (ndr compagno di squadra nella Lazio) che mi dice sempre “ma come non parlavi mai e ora scrivi?” Mi viene da ridere, scrivo per concentrarmi, per stare un po’ solo con me stesso, per occupare il tempo. Quello dello scrivere è una passione che ho capito che potevo alimentare, che poteva diventare una cosa piacevole anche in barca, per esempio, perché c’è un sacco di tempo. Scrivere mi dà grande soddisfazione perché ho dei “ritorni” dei tifosi a cui voglio benissimo e mi fermano per strada, a volte, per parlare di qualcosa di mio che hanno letto. Io benché sia taciturno ho sempre avuto un rapporto di grande affetto e rispetto per i tifosi e non mi sono mai sottratto ad una foto, un autografo o due parole.

Ultima domanda, due laziali e due avversari: Chinaglia o Giordano? Causio o Sala?
Giorgio un trascinatore nato, il vero capitano, quello che ti sprona, ti incita, ti protegge, Bruno il più tecnico, il più forte di tutti, Maradona lo definì il più forte calciatore con il quale aveva giocato; Sala il “poeta”, spigoloso, fastidioso da marcare ma Causio era immenso, molto tecnico, senso del goal, dribblava con una classe e una facilità incredibili.