Cinquantanove anni, piemontese di Alba, giornalista, scrittore e tanto altro. Aldo Cazzullo, sposato, con due figli, ha intrattenuto e intrattiene da quasi quarant’anni milioni di persone tra lettori e telespettatori che lo seguono con interesse, apprezzandone i contenuti, l’assoluta chiarezza ed il suo modo di esporre che lo contraddistingue –per la sua pacatezza– in un mondo di “strilloni” e di voltagabbana. Ho avuto il privilegio di conoscerlo nel 2017 a Soriano nel Cimino per il “Premio Calabrese” e da quel momento sono rimasto affascinato dal suo savoir faire e dalla sua immensa cultura che è direttamente proporzionale alla sua genuina semplicità. Ho incontrato Aldo nella Biblioteca Alessandrina dell’Archivio di Stato presso Sant’Ivo alla Sapienza e tra libri e manuali antichi ho parlato con lui di Giulio Cesare, Craxi, Trump, Musk, Putin, Meloni e della nostra amatissima Juventus.

Andiamo per ordine e partiamo dal tuo ultimo libro, dal titolo: “Craxi. L’ultimo vero politico. I racconti e le immagini”, edito proprio a venticinque anni dalla morte di Bettino Craxi. Nel libro non fai sconti, evidenziando anche i limiti e gli errori di Craxi, ma riconosci in lui l’essere stato un vero Leader, definendolo per l’appunto “l’ultimo vero politico”.
Sì, è come hai giustamente sintetizzato, Craxi ha commesso errori, ha commesso anche reati, però era un leader politico, prendeva decisioni. Ha posto delle questioni come la riforma del sistema di cui si parla ancora adesso. Poi a un certo punto non riuscì più a capire il tempo, il suo tempo, quando disse agli italiani andate al mare anziché andare a votare per il referendum sulla preferenza unica, che tagliava un po’ le unghie ai partiti; gli italiani andarono invece a votare, qualcuno andò proprio perché Craxi aveva detto di andare al mare e lì fu l’inizio della sua fine. Io in questo libro faccio un ritratto di Craxi fatto di luci e di ombre, in chiaroscuro. Craxi ha commesso degli errori, ripeto anche dei reati, però ha avuto sicuramente anche dei meriti.


Visto che oggi la politica è cambiata, ti chiedo come gestirebbero i nostri attuali politici una crisi come quella di “Sigonella” del 1985? Ci sarebbe ancora un risoluto “NO” agli americani, come quello di Craxi, a preservare la “Sovranità nazionale?”
Penso che adesso i politici si piegherebbero agli Stati Uniti d’America.
Politici di qualsiasi schieramento e colore?
Di qualsiasi schieramento e colore, sicuramente sì.
Nella classifica dei libri attualmente più venduti in Italia ci sono altri due tuoi grandi successi: “Il Dio dei nostri padri: il grande romanzo della Bibbia” e “Quando eravamo i padroni del mondo – Roma: l’impero infinito”. Cosa mi dici di questi due capolavori?
Beh, insomma, capolavori è una definizione generosa, sono libri che hanno incontrato il favore dei lettori, io nei miei libri cerco di ricostruire un po’ l’identità italiana. Ho scritto libri sul Risorgimento, sulla Prima Guerra Mondiale, sul Fascismo, sulla Resistenza, sulla Ricostruzione, poi sono andato all’indietro nel tempo: Dante padre della nostra lingua, l’Impero Romano che ha gettato le fondamenta di quello che oggi chiamiamo Occidente; e poi la Bibbia, perché la Bibbia è la radice della nostra civiltà, la civiltà giudaico-cristiana, la civiltà occidentale.
Un altro libro di grandissimo successo è stato “Una giornata particolare“, tratto dall’omonima trasmissione televisiva da Te condotta su La 7. Se ti chiedo di scegliete una sola tra le tante giornate “cruciali” raccontate -che hanno cambiato non solo il destino dei protagonisti ma anche la storia- quale scegli?
Qui siamo proprio nella Biblioteca dove giriamo “Una giornata particolare” che è un lavoro di squadra. Io sono il terminale di un lavoro molto grande, molto duro che però ci sta dando grandi soddisfazioni. Dovessi scegliere una giornata forse sceglierei l’assassinio di Giulio Cesare, perché Giulio Cesare è stato il primo a scrivere in un documento ufficiale la parola “Italia”. Quando Cesare conquista la Gallia, scrive al Senato un messaggio in cui dice: prima in Gallia avevamo un sentiero che ci serviva ad andare in Spagna, la fascia costiera (che adesso si chiama Provenza, dal latino provincia). Ora dalle Alpi all’Oceano non c’è nulla che l’Italia debba temere. Era la prima volta che la parola Italia veniva scritta in un documento e in questo senso forse Cesare è uno dei padri dell’Italia, che sia stato assassinato in quella maniera a me un po’ dispiace, perché Giulio Cesare era un grande scrittore, un grande Generale, un grande leader politico. Ed era anche un grande giornalista. Veni, vidi, vici, tre parole, dodici caratteri; non mi viene in mente un tweet più efficace di così. La storia dell’assassinio di Cesare è una grande storia che sono stato felice di raccontare in “Una giornata particolare.”
Abbiamo parlato del Cazzullo scrittore, parliamo del Cazzullo giornalista: inviato speciale ed editorialista del Corriere della Sera di cui attualmente sei Vicedirettore “ad personam”, fammi capire meglio questo “ad personam”.
Ahahah, no, no, ad personam vuol dire che non ho obblighi redazionali ma è in realtà una cosa un po’ ibrida perché dovrebbe essere una cosa onorifica ma io devo anche lavorare, devo un po’ coordinare alcune pagine di interviste e per fortuna non devo farle tutte io perché ci sono dei colleghi bravissimi.
Hai raccontato i principali avvenimenti italiani e mondiali, intervistato le più grandi personalità internazionali, tuttavia, continui a curare in prima persona la pagina “Lo dico al Corriere” in cui dai spazio e rispondi alle lettere dei lettori. Quanto è importante per Te il rapporto con i tuoi lettori?
È fondamentale anche perché senza lettori noi non esisteremmo; arrivano circa seicento mail al giorno al Corriere, quasi tutti scrivono per lamentarsi, ma figurati è legittimo, è normale che sia così. Uno scrive ad un giornale per dire che le cose non vanno e non per dire che le cose vanno bene. Ogni giorno, con l’aiuto anche lì di una collega si chiama Grazia Maria Mottola -anche lei molto brava- scegliamo la lettera del giorno cui dare una risposta, scegliamo la lettera che è spesso un racconto di vita o una protesta, una testimonianza, poi ci sono altre letterine a cui a volte rispondo in molto breve, beh insomma è una palestra che mi tiene vivo, mi tiene sveglio. È faticoso perché bisogna leggere tantissime mail, però è anche bello perché ti rendi conto di cosa pensa veramente la gente, quindi è un’esperienza molto preziosa che faccio ormai da otto anni e che vedremo quanto continuerà ma comunque, ti ripeto, è bello farlo.
Che differenza c’è tra il giornalista e lo scrittore? Hanno tutti due la penna, il taccuino, il computer, però, secondo me, è fondamentale la differenza.
Beh, chiaro, il giornalista ha qualche obbligo in più, deve essere diretto, deve essere sintetico e lo scrittore ha il proprio stile, ogni scrittore ha un suo stile diverso. Io quando scrivo i libri cerco di essere generoso verso il mio lettore, non scrivo per me stesso o pensando ad altri giornalisti, tantomeno pensando agli accademici ma cerco di scrivere per il pubblico, cercando di dargli il meglio. Per questo non amo la parola divulgatore, è una parola che non mi piace, è una parola in cui c’è l’idea del volgo e del dotto. Io non sono un dotto e non ho un volgo davanti, ho un pubblico con cui dialogo, a cui propongo dei testi che, quando sono scritti su un giornale magari hanno un certo stile mentre nei libri ne hanno un altro, però credo che ci sia parentela tra la figura del giornalista e quella dello scrittore. In questo momento non sto parlando di me, sto parlando del passato, il Corriere della Sera ha un’antica tradizione di scrittori che lavorano al Corriere, scrivono sul Corriere. Eugenio Montale era un redattore del Corriere della Sera, Indro Montanelli, Paolo Monelli, Buzzati, Piovene, Parise, qualcuno di loro lavorava proprio al Corriere, tutti scrivevano regolarmente sul Corriere. Quindi c’è una tradizione letteraria, poi naturalmente noi siamo nanetti sulle spalle di immensi giganti però, ecco, io mi sono sentito una volta dire: hai scritto un romanzo, no, no, al Campiello non ti vogliamo, non prendiamo libri di giornalisti; beh, possono dirmi che non prendono i libri di Aldo Cazzullo e, fanno bene magari ma non possono dirmi che non prendono libri di giornalisti, perché allora penso che sei un accademico, un letterato che bada solo a se stesso e ai suoi accoliti. Ecco la società letteraria, non esiste la società letteraria, esistono gli scrittori.

Nell’epoca dell’Intelligenza Artificiale, della digitalizzazione, dei social media qual è il futuro della stampa tradizionale?
Guarda, se tu hai mi avessi fatto questa domanda dieci anni fa ti avrei dato una risposta molto pessimista. Era un tempo in cui RCS, sotto la precedente gestione, con “EU Reporter” era come se dicesse: ormai non servono più i giornalisti, chiunque può fare il giornalista, mandateci i vostri video; poi invece c’è stato un momento anche drammatico, quello della pandemia, in cui sono esplosi gli abbonamenti digitali. La gente voleva sapere cosa stava accadendo, si è abbonata al Corriere, ad altri giornali, non era scritto da nessuna parte che nell’era digitale si sarebbe ancora passati dai giornali –sempre meno della Carta– sempre di più dei siti per informarsi. Adesso è un altro periodo difficile perché, vedi, quando ero ragazzo facevamo i Focus Group con i lettori dei campioni rappresentativi dei lettori di ogni età, di ogni ceto sociale, i quali ci dicevano quello che volevano dai giornali e però loro dicevano esattamente quello che noi volevamo sentirci dire. Vogliamo più inchieste, più reportage dall’estero, più approfondimenti, più cultura, adesso noi misuriamo i click e sappiamo esattamente quello che legge la gente, sappiamo quello che vuole la gente e la gente non vuole più cultura, non vuole più reportage dall’estero. Le cose che vanno di più, e tu lo sai, sono le interviste ed io mi sforzo di cercare di farlo, di commissionare interviste che abbiano una storia, un pensiero, un livello, a volte invece funzionano le interviste ancora più basse. Ecco, l’alto o il basso va bene, il basso compiaciuto di sé stesso no.

Passiamo alla stretta attualità, citando proprio un passo della Bibbia: “c’è un tempo per la pace e un tempo per la guerra”. Qual è il tempo che stiamo vivendo? Avresti mai immaginato che nel 2025 si parlasse di kit di sopravvivenza e di riarmo dell’Europa?
No, non l’avrei mai immaginato, riarmare l’Europa è giusto non per fare la guerra agli altri ma per evitare che gli altri che facciano la guerra a noi. La Bibbia è più che attuale, la Bibbia è eterna: c’è un tempo per odiare, un tempo per amare, c’è un tempo per distruggere, un tempo per costruire, c’è un tempo per gettare sassi e un tempo per raccoglierli e c’è un tempo per la guerra, un tempo per la pace. Questo sembra ancora il tempo della guerra e invece sarebbe veramente il momento di unirci perché abbiamo delle questioni epocali che ci riguardano tutti: i flussi migratori, il cambio climatico, la proliferazione nucleare. Questo stato di guerra permanente va fermato, mai come adesso servirebbe il governo del mondo, il mondo globale vero, il dialogo tra i governi, tra le genti. Purtroppo, la storia sembra avere imboccato un’altra direzione, il ritorno ai nazionalismi esasperati da cui non mi attendo niente di buono.
Hai affermato: “più che Trump mi fa paura Musk”. Ti riferisci in particolare a quell’Alleanza tra tecnologia, potere economico e potere politico che ormai in Occidente sembra sia in procinto di soppiantare la “democrazia”?
Beh, la democrazia è più solida, secondo me, di quello che pensiamo però è anche vero che il rischio c’è e il rischio non è tanto Trump, che ha vinto legittimamente le elezioni, che tra tre anni e mezzo andrà in pensione ma Musk, che è molto più giovane, ha molti più soldi e si candida a fare un po’ il capo di questa internazionale reazionaria -come la chiama Macron- e c’è in effetti un elemento di forzatura in un uomo immensamente ricco che finanzia movimenti estremisti come Alternative für Deutschlandin Germania; addirittura in Inghilterra non vuole più Nigel Farage ma vuole uno ancora più estremista di lui, uno che è in prigione per avere provocato dei tumulti a sfondo etnico. Insomma, Musk onestamente mi preoccupa, è un uomo che ha tanto denaro, disposto a usarlo in modo spregiudicato e Lui, come gli altri padroni della rete, sanno tutto di noi, il big data, i big dei grandi dati sanno tutto di noi e in più col sistema starlink controlla le telecomunicazioni, mi sembra che ci sia troppo potere nelle mani di un uomo solo, anche se mi pare che Musk si stia un po’ rovinando con le sue stesse mani; beh, vediamo come va a finire.
Quanto a Putin, nello spiegare le dinamiche geopolitiche sottese alle mosse del leader russo hai affermato: “Putin sta cercando di riprendersi quello che considera suo. Sta cercando di ricreare la sfera di influenza tradizionale della Russia, dell’URSS”: ci riuscirà? Se sì, lo farà con la forza o raggiungendo un nuovo equilibrio neocoloniale con l’America di Trump?
È una domanda molto interessante, Ercole, sicuramente lui vuole ricostruire la storia di influenza sovietica, lo dice lui stesso. A Trump Putin piace perché Putin è un uomo forte, a Trump piacciono gli uomini forti, Putin è un uomo estremamente spregiudicato, ha causato la morte dei principali oppositori da Anna Politkovskaja ad Aleksej Naval’nyj; io spero ancora che sia fermato, se il mondo deve essere diviso tra Xi Jinping, Putin e Trump non mi sento molto tranquillo. Spero che l’Europa possa farsi valere, perché il vero sovranismo, in questo momento, non è un sovranismo nazionale, è un sovranismo europeo.
Ti cito il passo di un celeberrimo discorso di John Fitzgerald Kennedy: “Che tipo di pace cerchiamo? Sto parlando di una pace vera. Un tipo di pace che rende la vita sulla terra degna di essere vissuta. Non solamente la pace nel nostro tempo, ma la pace in tutti i tempi.” È corretto dire che la “pace” in Ucraina che stanno trattando Trump e Putin è proprio quel genere di pace imposta da potenze neocolonialiste, quel genere di “pax americana” che Kennedy aborriva?
È presto per dirlo, ma il timore che dovremo assistere nei prossimi mesi ad una capitolazione dell’Ucraina c’è. Bisogna capire quanto sia filorusso Trump, che sicuramente non sopporta Volodymyr Zelens’kyj e lo abbiamo visto. Spero che Trump non sia così filorusso come viene rappresentato quindi spero che sappia anche tenere testa a Putin, di certo questa sua pretesa di chiudere la guerra in pochi giorni si è rivelata una velleità.
A proposito di Trump, sono di strettissima attualità i dazi imposti con il Liberation day.
Sì, è un autogol clamoroso per gli Stati Uniti, di fatto una tassa sui consumi interni americani che ha fatto crollare le borse, ha riacceso l’inflazione; è un bel problema anche per noi italiani e anche per Giorgia Meloni, l’Italia è l’unico Paese dell’Europa Occidentale guidato da una leader che appartiene alla stessa famiglia politica di Trump quindi se non riuscirà ad avere un trattamento privilegiato avrà qualche problema con i suoi elettori mentre se riuscirà ad averlo, avrà qualche problema con Germania e Francia. Vedremo!

Passiamo ad un tema più leggero: hai seguito come inviato speciale sei edizioni dei Giochi Olimpici e sei Mondiali di calcio, raccontando tra l’altro nel libro “Italia – Germania 2 a 0. Diario di un mese mondiale” quella storica vittoria degli Azzurri. Quale impresa sportiva a cui hai assistito ti ha emozionato di più in assoluto?
La semifinale Italia Germania due a zero perché battere i tedeschi a casa loro, davanti a migliaia di immigrati italiani che spesso vengono trattati dai tedeschi con durezza, è stata un’immensa soddisfazione.
Chiudiamo con il botto, Aldo. “Ricordate, ci riconosceremo ovunque con uno sguardo. Siamo la gente della Juve. Fino alla fine, Andrea”. Queste le parole con le quali il Presidente Andrea Agnelli si è congedato, qualche tempo fa, dalla Juventus. Noi due, Aldo, ci siamo riconosciuti con uno sguardo a Soriano nel Cimino, nel 2017, in occasione del Premio Calabrese.
Ebbene sì, ci siamo riconosciuti, confesso di essere juventino; da ragazzo ero molto juventino, andavo allo stadio con mio papà poi ho avuto un periodo in cui non mi sono molto riconosciuto …in una certa una certa “stagione” della Juventus però adesso poi mio figlio è molto juventino, quindi andiamo allo stadio anche insieme, per cui è una bella passione, una passione forte.
Il giocatore della Juve che hai nel cuore?
Michel Platini!
Ultimissima, domenica ci sarà Roma-Juventus, andremo in Champions o guarderemo la televisione l’anno prossimo?
Vediamo come si trova Tudor. Quest’anno io mi ero illuso di rivedere la Juve del 1972, una squadra di giovani, la squadra di Causio –che da giovane era fortissimo– la squadra di Bettega giovane; tanti giovani che sembravano dover ripetere quell’esperienza ma alla fine non è andata così! Comunque una squadra si deve amare, si deve sostenere soprattutto nella cattiva sorte.
