Nato a metà degli anni Cinquanta a Bydgoszcz, Zbigniew Boniek detto Zibì, è uno di quei personaggi talmente diretti e senza peli sulla lingua che o ami alla follia o non ami per niente. Straordinario campione di calcio, ha vestito le maglie della Nazionale polacca e di altre quattro società tra le quali la Juventus e la Roma. Sposato, tre figli, si divide tra Italia e Polonia e continua, nonostante i cambiamenti generazionali, ad amare quel calcio che lo ha reso tra i protagonisti più assoluti a metà degli anni Ottanta. Ho apprezzato la sua verve, la sua disponibilità e la sua formale correttezza e ho notato il suo attaccamento verso tutte le squadre nelle quali ha giocato, Juve compresa, anche se qualcuno continua a dire il contrario. Ma Zibì, che non fa di professione il Diplomatico ma l’uomo di calcio, prima in campo ed ora dietro una scrivania, ha provato anche a spiegare fatti e circostanze. Un bel pomeriggio passato con il “bello di notte” come amava definirlo  “l’avvocato degli avvocati”.

Da bambino, in Polonia, giocavi solo a pallone o praticavi anche altri sport?

La mia generazione era quella dei bambini che tornati da scuola lasciavano i quaderni e i libri subito a casa e correvano in cortile, per strada, in una piazza a fare sport, tutti gli sport. Io giocavo a calcio, a pallamano, correvo e l’inverno facevo anche hockey su ghiaccio, atletica, tutto insomma. Questo avveniva solitamente sino ai dodici anni che era l’età in cui in Polonia era consentito iscriversi ad una società sportiva ma già si sapeva ognuno in quale disciplina sarebbe approdato perché si sapeva chi era più bravo a calcio, chi menava meglio e si iscriveva a pugilato e chi correva più veloce e finiva per fare atletica e via dicendo.

In che ruolo hai iniziato da bambino?

Mah, quando giochi con amici da bambino non hai posizioni definite e fai avanti e indietro, su e giù per il campo continuamente.

Quando hai capito che il calcio non sarebbe più stato per te un divertimento ma sarebbe diventato la tua vita  professionale, il tuo lavoro.

Non mi sono mai posto questa domanda e non ricordo un momento specifico o particolare  in cui abbia pensato questo anche perché fino a ventisei anni ovvero fino a quando ero in Polonia non avevo privilegi particolari ed avevo una condizione economica di normalità e per questo avevo già anni prima pensato anche al mio futuro per continuare a “educarmi” e a studiare ed infatti ho fatto Isef che in Polonia è “Accademia dello sport”  e mi sono laureato.  Intorno ai venti anni avevo capito che ero bravino, che non c’erano giocatori che mi scappavano ma che anzi ero io che scappavo agli altri  e anche nelle coppe europee vedevo che stavo bene in campo contro qualunque avversario e che andavo forte. Pian piano ho iniziato a programmare la mia vita e a pensare che fino a ventisei anni, cioè al Mundial spagnolo, sarei voluto restare in Polonia  e avrei voluto finire gli studi e poi avrei  voluto misurarmi in altri contesti. Questa convinzione cresceva sempre più in me negli anni perché con il Widwez Lodz avevo sconfitto squadroni come Juventus, Manchesterr City e Manchester United e quindi sapevo di essere pronto per il “salto” e giocare con i migliori calciatori del mondo.

Un flash delle tue esperienze con le società con le quali hai giocato:  Zawisza Bydgoszcz, Widwez Lodz, Juventus e Roma.

Ho iniziato con la Zawisza che è la squadra della mia città, poi a diciassette anni sono passato al Widwez Lodz dove sono rimasto fino a ventisei anni e poi ho giocato sei anni in Italia, i primi tre con la Juventus e gli altri tre con la Roma. In ogni squadra mi sono trovato benissimo: Zawisza Bydgoszcz rappresenta la mia gioventù, Widwez Lodz la società nella quale sono maturato come uomo, mi sono sposato, mi sono laureato e ho iniziato a giocare le coppe europee e poi nel 1982 sono arrivato a Torino, nella Juventus, in una squadra fatta di giocatori fortissimi che credo fosse all’epoca la squadra più forte al mondo e poi ho giocato gli ultimi tre anni nella Roma dove credo di aver giocato il calcio più bello e più spettacolare.

Quindi possiamo sintetizzare Zibì dicendo che per te in quegli anni la Juve era la squadra più forte e la Roma quella che giocava il calcio più bello?

Sì, sì hai capito perfettamente, la Juve la più forte e la Roma la più bella però nel calcio quello che resta è la vittoria e la Juve ha vinto di più.

Ho capito perfettamente perché tra …campioni ci si capisce sempre.

Sì, vero ahahah.

Qualche tuo giudizio: Agnelli, Boniperti e Viola.

Agnelli era unico per il modo di fare, di esprimersi, di prendere in giro la gente, Boniperti non era mai contento, voleva sempre migliorare e vincere sempre di più mentre Viola era il vero “padrone”, era a Trigoria da mattina a sera e si occupava di tutto, da questioni tecniche a vedere se la televisione in camera ti funzionava o se nonti  funzionava. Era sempre sul pezzo.

L’avvocato ti definiva il “bello di notte”.

Un bel complimento, spiritoso. Presentandoci a Kissinger disse che Platini era il bello di giorno ed io il bello di notte.

Trapattoni ed Eriksson.

Trapattoni fenomenale sotto tutti i punti di vista, da quello umano a quello sportivo, dalla capacità di fare gruppo  a saper tenere i calciatori concentrati. Davvero una persona fantastica il Trap. Eriksson era giovane e soffriva la personalità di tanti campioni. Faceva allenamenti molto belli ed era piacevole stare in mezzo al campo con lui però poi fuori dal campo non mi ha colpito molto, soffriva le persone importanti e per me è stato a lungo andare un po’ una delusione.

Platini, Gaetano Scirea, Cerezo e Giannini. Daje Zibi, dimmi qualcosa di questi quattro fenomeni.

Platini è stato il giocatore più completo con il quale abbia mai giocato perché sapeva difendere, sapeva attaccare, sapeva realizzare, sapeva suggerire, sapeva tirare le punizioni, sapeva colpire di testa, sapeva anche stare in barriera. Un numero 10 perfetto! Scirea uno dei giocatori che io ho trovato più silenziosi, più educati, più bravi. Era sempre disponibile e spesso, sai, si dice che quando uno muore si cerca di trovare parole per esaltarne le qualità in vita ma Gaetano proprio non ne ha bisogno perché era tutto questo che ti ho detto oltre che un grande calciatore. Una persona unica! Cerezo era un centrocampista che sapeva fare tutto in mezzo al campo però aveva questo modo di fare diciamo un po’ “pane pane vino vino” che alla fine portava i giornalisti a non amarlo tantissimo e ad esaltare altri calciatori quando invece per me Toninho è stato uno dei più forti con i quali ho giocato. Giannini l’ho visto entrare in squadra insieme a Di Carlo  e subito ho capito che era di grandissima qualità. Se dovessi oggi dargli un numero gli attribuirei il numero 8 perché lui era eccellente, sapeva combattere in mezzo al campo, rubare il pallone agli avversari, inserirsi dietro le punte, era un ottimo realizzatore e poi era “ Il Principe” per il suo modo di fare, no? E lo era davvero!

Tutti questi sponsor, le varie pay TV, le partite tutti i giorni e negli orari più strani, non è più il calcio delle figurine panini che abbiamo imparato ad amare da bambini.

Si fa tutto per i soldi. Il calcio è cambiato, il calcio oggi è strano, non ci sono più “bandiere”, un calciatore segna e bacia la maglietta, il giorno dopo già sente il procuratore per vedere con chi giocare l’anno successivo. E’ cambiata la vita, è cambiata la società, sono cambiati i costumi ed è cambiato il calcio. Ma scusa, se tu compri un abbonamento per la tua squadra oggi non sai quante partite potrai vedere perché non sai quando giocherà e a che ora giocherà e come fai ad organizzarti con il lavoro, con la famiglia e  con gli altri tuoi impegni? Si fa tutto per i soldi, ripeto, devono aumentare le entrate che poi si dividono in tanti, calciatori e procuratori compresi ed è finita la giostra. L’azienda del calcio produce tantissimi soldi ed offre, purtroppo,  questi servizi che non piacciono a tutti.

E’ più il calcio degli investitori, degli sponsor e dei procuratori che dei tifosi?

Boh, forse è così, forse no ma è un calcio strano . Parliamoci onestamente, non può un calciatore guadagnare trenta o quaranta milioni di euro anche perché alla fine non produce tutto questo valore e guarda caso quali sono le squadre più indebitate al mondo? Quelle più forti che hanno giocatori più forti che costano di più perché oggi un club ha quattro voci dove può guadagnare che sono marketing, marchandise,  diritti televisivi e sportello (vendita biglietti ndr) e non ci sono altre voci quindi  si supera spesso il tetto e così vediamo che le squadre più indebitate sono, tra le altre, il Real, il Barcellona e la Juventus. Il calcio è diverso, è cambiato tutto, ai miei tempi il giornalista ti poteva chiamare al telefono e ti faceva una bella intervista oggi i calciatori sono contenti di non essere intervistati e di non parlare con la stampa. Il calcio è diverso da un tempo ma a me piace comunque sempre tanto.

Quando hai smesso di giocare sei stato inserito dalla “FIFA” tra i cento calciatori più forti viventi. Eri l’unico polacco nella lista.

Mi fa piacere ma sono molto distante da questi plebisciti,  da queste votazioni, da queste statistiche perché alla fine per me contano le emozioni e se arrivo primo piuttosto che secondo o terzo in una votazione non mi cambia la vita perché se vieni a casa mia, Ercole, vedi sulle mensole tutte le cose che ho vinto e che io so che ho conquistato sul campo.

Quando hai appeso gli “scarpini al chiodo” sei rimasto nel calcio. 

Pensavo di fare l’allenatore e l’ho fatto ma forse in modo affrettato. Sono andato ad allenare squadre deboli pensando che la mia figura già carismatica potesse essere sufficiente invece l’allenatore deve fare tante altre cose. Sono  comunque state esperienze e le esperienze sono sempre una bella cosa. Dovunque sono stato ho comunque migliorato la squadra e fatto sempre gli interessi della società per cui lavoravo. A Lecce siamo retrocessi a due giornate dalla fine  però abbiamo valorizzato e venduto giocatori come Mazinho e Conte  per miliardi, soldi importanti  all’epoca. Ho avuto retrocessioni con Lecce e Bari (a Bari andò quando già era ultimo in classifica ndr) e la promozione in B con l’Avellino.

Una domanda brutta: l’Heysel.

Un vuoto, doveva essere la celebrazione di qualcosa di importante, di un successo che è stato “cancellato”, “nascosto” per quello che è successo. Una tragedia, una grande tragedia!

La “stella” che ti hanno tolto allo stadio della Juventus.

Allora, andiamo con ordine. Mi hanno mandato tutta la documentazione a casa, mi hanno conferito la stella poi anni dopo la frangia più estrema del tifo ha detto ad Andrea Agnelli che doveva togliermi la “stella” perché ero romanista. Andrea Agnelli ha fatto questa mossa in maniera brutta perché mi ha chiamato e mi ha detto “guarda che dobbiamo rivotare tra te e Davids” ed io gli ho detto “fate come cazzo vi pare”. Tieni conto che vicino alla “stella” si poteva comprare lo spazio da parte dei tifosi ed il mio nome era tra i quattro calciatori  più venduti ma loro alla fine hanno fatto una … votazione e pare che hanno votato più Davids che è ricordato credo … per altro alla Juve ma sai sono cosette queste, si deve vergognare Andrea Agnelli per questa cosa e non io.

Paolo Carraro, Presidente dello Juventus Club Colosseo, quando ha saputo che ti avrei incontrato mi ha suggerito di chiederti quale è per  te il ricordo più brutto e quello più  bello, sportivamente parlando, di questo tuo mezzo secolo nel calcio.

Eh, sono tantissimi i ricordi che affiorano nella mia mente. Se potessi cambiare qualcosa cambierei la semifinale contro l’Italia dei Mondiali del 1982. Fui ammonito alla prima partita del girone e in maniera assolutamente ingiusta ai quarti di finale e quindi non sono potuto scendere in campo contro quelli che poi diventarono i campioni del mondo e molti di loro miei compagni nella Juventus due mesi dopo. Ci rimasi molto male perché l’ammonizione che mi diede l’arbitro ai quarti fu ingiusta e pensa che con le regole di oggi avrei potuto giocare ugualmente. Il ricordo più bello è la vittoria con la neve contro il Liverpool perché dopo pochi minuti dall’inizio capii che quella partita dovevo vincerla io perché ero abituato al ghiaccio, alla neve e al freddo più degli altri. Una partita che abbiamo vinto e di cui sono orgoglioso e che abbiamo giocato anche grazie al supporto dei tifosi juventini che hanno spalato per ore il campo e ci hanno permesso di giocarla quella partita.

Dopo questa lunga e piacevole chiacchierata, posso dire che ho percepito, da quello che hai detto e da come lo hai detto, che sei innamorato di tutte le squadre con le quali hai giocato, Juve compresa?

Ma certo, è esattamente così!

Senti Zibì, svesto i panni di giornalista e ti chiedo, da juventino, di descrivermi un tuo goal con la maglia bianconera. Ne hai fatti tantissimi e tutti bellissimi e decisivi, cito ad esempio quello in finale a Basilea contro il Porto, i due sotto la neve e con il pallone rosso al Liverpool, quello al Bordeaux ma quello che ho nel cuore è quello al Machester  United quando…vincemmo 2 a 1.

Quante emozioni! Partita ostica, lancio millimetrico di Michel, io che corro e sgomito con un avversario che voleva bloccarmi ma sono io a restare in piedi e sull’uscita di Baylei con un tocco di sinistro lo scavalco e faccio goal. Un bel goal!

Daje Zibì, grazie e a presto.

Grazie a te e a presto!

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