Andrea Nativi ci parla delle Forze Armate italiane, della Croce Rossa Italiana e della guerra multiforme

Andrea Nativi, giornalista di indubbio valore ed esperto militare tra i più affermati che ci scrive ha avuto il privilegio di avere quale docente in occasione di due corsi di Diritto Internazionale Umanitario. Sempre molto “professionale”, riservato e puntuale nei giudizi, Nativi si è sempre interessato, con grande passione, allo studio delle problematiche militari nazionali ed internazionali e alle politiche di difesa e di sicurezza. In questa intervista, Andrea dell’Ordine Nazionale dei Giornalisti e della Federazione Nazionale della Stampa, di “guerra multiforme” e di Paesi emergenti, di politica internazionale e dello stato di salute delle Forze Armate e della Croce Rossa Italiana.

Per lei il giornalismo è una vocazione, una passione o una professione?

Era una passione, da anni ormai è anche una professione.

Crede nell’esistenza dell’Ordine Nazionale dei Giornalisti e nella Federazione Nazionale della Stampa?

Non mi piace molto il concetto italiano che limita fortemente l’accesso e la competizione nell’esercizio di molte professioni e la distinzione tra pubblicisti e professionisti è ad esempio qualcosa di inaccettabile, che pur annacquata negli anni ancora sopravvive. Peraltro gli editori  già  con  il  regime  attuale  utilizzano  in  attività giornalistiche chiunque si accontenti di precarietà e stipendi ridotti e così facendo peggiorano la qualità dei prodotti editoriali (carta stampata, televisioni ed emittenti radiofoniche) adottando anche pratiche degne della imprenditoria di mezzo secolo fa. L’aspetto culturale del prodotto conta sempre meno, quindi temo il far-west che potrebbe scatenarsi in assenza di tutele. Non mi piace però il sindacato militante che fa politica invece di badare agli interessi degli iscritti.

Lei è il Direttore della Rivista italiana di Difesa ed è un grande esperto di temi militari. Qual è lo stato di salute delle Forze Armate italiane?

Considerando la pochezza delle risorse finanziarie investite negli ultimi anni per la difesa, il “prodotto” che le Forze Armate riescono ad esprimere è sorprendentemente elevato, in quantità e qualità e teniamo conto che contemporaneamente c’è stato il passaggio dalla leva al reclutamento professionale e volontario. Tuttavia le carenze ci sono e sono gravi, soprattutto sul versante delle capacità più pregiate (e costose), dell’ammodernamento dei mezzi, dell’efficienza delle linee. La situazione è ovviamente in costante peggioramento. Se aggiungiamo che i pochi soldi disponibili per investimento ma anche per esercizio non sono spesi nel modo migliore, diventa inevitabile una drastica riduzione della consistenza e delle capacità delle Forze Armate nazionali, con le inevitabili conseguenze nello “standing” del paese a livello internazionale, a cominciare dal contesto europeo.

Cosa è la “guerra multiforme”?

In realtà la guerra si è sempre sviluppata in modo multiforme o, per usare la terminologia oggi corrente, asimmetrica. È naturale che il debole cerchi e sfrutti quelli che sono le vulnerabilità dell’avversario, della sua società, della sua economia, delle sue istituzioni, del suo strumento militare. Non gli si può certo chiedere di accettare il confronto secondo modalità che ne sancirebbero a priori la sconfitta. Del resto anche l’Occidente sfrutta i propri vantaggi asimmetrici in campo tecnologico per sconfiggere in fretta un avversario “tradizionale”. Peccato che questa superiorità tecnologica sia molto meno decisiva in guerre di guerriglia prolungate o nella lotta a gruppi terroristici senza base statuale determinata. La vera sfida dunque consiste nel realizzare una combinazione di strumenti militari e non militari abbastanza flessibile da mantenere lo stesso margine di vantaggio contro ogni tipo di avversario. Questo obiettivo ovviamente è molto difficile da realizzare e richiederebbe poi un pronto adattamento alle effettive minacce ed a quelle che ipoteticamente potranno svilupparsi. E naturalmente l’aspetto mediatico è sempre più importante per riuscire ad influenzare l’opinione pubblica sia nel proprio campo sia in quello avverso.

Come giudica la politica internazionale italiana?

Mi sembra che meriti la sufficienza. Si creano o coltivano occasioni propizie, si gettano le basi per ottenere risultati significativi permanenti, poi però manca la capacità del sistema Paese di agire in modo coordinato e sinergico per sfruttarle al meglio. Credo peraltro che la scelta di perseguire una relazione privilegiata con gli Stati Uniti, attuata in questo ultimo lustro, sia stata positiva e condivisibile, anche se certamente ci è costata cara in Europa. I benefici però sono e potenzialmente sarebbero decisamente superiori al prezzo pagato. Peccato poi che politica estera e politica di difesa e sicurezza talvolta sembrino procedere su binari paralleli, senza le indispensabili convergenze.

Come giudica l’operato del personale militare e volontario della Croce Rossa Italiana in teatri difficili quali Nassiriya e Bagdad?

Lo giudico in modo davvero positivo, anzi, in molti casi hanno supplito a carenze del sistema della sanità militare

Si sente sempre più spesso parlare di Paesi emergenti che spendono miliardi per l’acquisto di tecnologie militari. Dobbiamo avere sempre più paura?

Naturalmente i Paesi Occidentali ed in particolare gli USA spendono molto di più per la difesa rispetto a quanto non facciano Cina, Russia o le potenze emergenti come Brasile o India. Nel breve e nel medio termine non esiste un pericolo militare convenzionale in grado di mettere a rischio la sicurezza degli USA o dell’Europa, nel medio-lungo termine la situazione potrebbe mutare, anche perché le analisi economiche indicano che su scala mondiale il ruolo degli USA sarà ridimensionato, mentre quello dell’Europa diminuirà radicalmente e cresceranno molto rapidamente altri paesi. La competizione economica, demografica, politica potrebbe degenerare sul piano militare, come del resto è regolarmente avvenuto in passato. Per questo è opportuno mantenere una salda leadership tecnologica militare, senza tuttavia esagerare, perché questi processi sono lenti, non hanno un esito scontato e non è necessario mantenere una superiorità schiacciante. Un self-restraint nella cessione di tecnologie sensibili sicuramente ritarderebbe o renderebbe più costoso il processo di rincorsa tecnologica da parte dei futuri global competitors.

Ci sarà un giorno la possibilità, secondo lei, di accendere la televisione e non ascoltare “bollettini di guerra” provenienti da nessun angolo del Mondo?

No, è impossibile. O meglio, è possibile che non si debbano ascoltare cronache di guerra semplicemente perché i media, specie quelli italiani, con notevole cinismo e provincialismo trascurano completamente tutti quei conflitti e sono decine e decine quelli che non ci riguardano direttamente. Ma i conflitti continueranno. E sarà un vero successo se non aumenteranno.

Secondo lei è stato giusto mandare i militari italiani in Iraq?

Se si fa riferimento alle ragioni “ufficiali” del conflitto, ovvero i programmi clandestini iracheni per la realizzazione di armi per la distruzione di massa, oppure il supposto connubio tra il regime di Saddam e il terrorismo internazionale la risposta non può che essere negativa. Con il senno di poi, si sarebbe potuto tranquillamente continuare nel “contenimento di Saddam”. Inoltre il dopo guerra è stato davvero malamente preparato dagli USA, che si sono cacciati in un ginepraio dal quale solo lentamente e a costi immensi riusciranno ad uscire. Certamente l’Iraq non è il nuovo Vietnam e non è neanche una Cecenia. Tuttavia l’Italia non ha partecipato attivamente alla guerra all’Iraq è intervenuta solo “dopo”, quando la guerra ad alta intensità era finita. Ed è indubbio interesse comune che il nuovo Iraq e le sue istituzioni, elette democraticamente, si consolidino e consentano la ricostruzione e uno sviluppo pacifico del paese. Inutile discutere sul latte versato ed infatti le operazioni militari in Iraq avvengono oggi con il pieno viatico dell’ONU. Ritirarsi oggi sarebbe da irresponsabili e rischierebbe di precipitare il paese in una guerra civile, con rischi terribili per le popolazioni.

Cosa succederà alle Forze Armate nel 2006 se rivincerà la Casa della Libertà e cosa accadrà loro se vincerà, viceversa, l’Unione?

Onestamente, non sembra che a nessuno dei due schieramenti questo tema stia particolarmente a cuore, ancora una volta evidenziando il nanismo politico nazionale e la mancanza di senso dello Stato. In tutti le grandi e medie potenze economiche, politica di difesa e Forze Armate sono argomenti prioritari, punti essenziali dei programmi elettorali. In Italio no, da sempre. E infatti i programmi dei due schieramenti, in corso di elaborazione, per ora non dedicano molto spazio a questi temi, né delineano quale politica di difesa e quale strumento militare ci si propone di realizzare. Se si parla di sicurezza, si intende la pubblica sicurezza, al massimo la homeland security. Se dobbiamo valutare la CDL da quanto ha realizzato in questi cinque anni, non si può che pensare che le Forze Armate continueranno ad essere considerate un costo, non un investimento e quindi fortemente penalizzate. Agli inizi della Legislatura l’Italia dedicava alla funzione difesa propriamente detta quasi l’1,1% del PIL. La CDL promise un incremento all’1,5%. Pochissimo rispetto agli altri Paesi del G8, ma comunque un drastico cambiamento. Nulla di ciò è accaduto e nel bilancio 2006 si scenderà ben al di sotto dello 0,9%. Non solo, ma si è continuato a pianificare uno strumento militare che le risorse disponibili non potevano finanziare. Tuttavia la politica estera era ed è molto attiva ed interventista e comporta la partecipazione a molte missioni militari internazionali, sia pure da dopo guerra.Non c’è motivo di pensare   che   questa   realtà   muterebbe   con   un   nuovo mandato.Quanto all’Unione, nella piattaforma elettorale la causa “pacifista” sembra avere un peso molto significativo e è praticamente impensabile pensare che un Governo dell’Unione possa oggi ripetere quanto fece il Governo D’Alema nel 1999, schierare e far partecipare l’Italia alla guerra insieme alla NATO contro la Jugoslavia. Non ci si può certo aspettare da un Governo dell’Unione un incremento della spesa per la difesa o una politica estera e di difesa che non sia quella di un paese quasi neutrale. Con le conseguenze del caso.In conclusione, quale sia l’esito delle elezioni, l’Italia è destinata a subire un declassamento in termini di capacità militare, consistenza dello strumento militare e volontà politica di impiegare attivamente all’estero le Forze Armate a sostegno della politica estera e degli interessi nazionali.

Intervista in esclusiva per “Cento Voci” realizzata in data 19.10.2005

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