Arturo Diaconale: giornalismo aperto e senza steccati
Abruzzese di nascita e romano d’adozione, cinquantacinque anni, laureato in giurisprudenza e Direttore de “l’Opinione”. Questo è in sintesi il profilo di Arturo Diaconale, una delle “penne” più illustri ed autorevoli del giornalismo italiano, che ha lavorato, tra l’altro, per il “Giornale” di Indro Montanelli e per il “Giornale di Sicilia”. Nel 1992 ha ricoperto la carica di redattore capo del quotidiano televisivo della Fininvest “Studio aperto” e nel 1993 ha assunto la direzione de “l’Opinione” che ha trasformato da settimanale a quotidiano. Già vice segretario della Federazione Nazionale della Stampa, Diaconale è stato altresì segretario dell’Associazione Stampa Romana ed esponente di rilievo della componente moderata del sindacato dei giornalisti italiani. Ideatore e conduttore di trasmissioni televisive per la Rai, partecipa sovente quale opinionista al “Maurizio Costanzo Show” e al “Processo di Biscardi”. Nel suo brillante curriculum c’è anche la sfiorata elezione al Senato della Repubblica nel 1996, nelle file della Casa della Libertà, che ci avrebbe privato di un giornalista tra i più amati e che avrebbe arricchito la scuderia del Polo di un persona intellettualmente onesta e di un professionista tra i migliori in circolazione, che fa del giornalismo prima ancora della sua fonte di guadagno, la sua passione. Ho approfondito la conoscenza con Arturo Diaconale, divenuta amicizia cordiale e spontanea, in occasione di un recente convegno in Sardegna, che ha visto partecipare l’insigne collega quale moderatore e chi scrive quale responsabile della comunicazione. Così, dinanzi a Ministri e Sottosegretari della Repubblica, esponenti di Governi stranieri ed autorità della Chiesa, delle Forze Armate e del mondo dell’imprenditoria e del giornalismo, ho potuto “studiare” da vicino il nostro amico e verificare quanto sia importante in un convegno come in qualunque altra assise, la presenza di un moderatore preparato, capace di dettare i tempi degli interventi, di fare una sana e costruttiva critica e di proporre temi di interesse, sempre con il sorriso sulle labbra e conferendo all’evento quell’austerità e quella serietà necessarie.
Cosa l’ha spinta a diventare giornalista e quale consiglio si sente di dare ad un giovane che vuole intraprendere questa professione?
L’esperienza dei primi anni del Liceo, scrivevo per il giornaletto della scuola e mi sono appassionato subito a questa forma di informazione e di comunicazione. Già da bambino amavo leggere molto e quindi devo dire che nel mio DNA c’erano già tracce di giornalismo. Il consiglio che mi sento di dare a chi vuole intraprendere questa professione è quello di avere grande tenacia perché almeno all’inizio serve più questa del talento.Ci sono dei meccanismi infatti obsoleti, degli imbuti “stretti” e degli schemi antichi che regolano l’accesso alla professione pertanto credo, come detto, che in prima battuta la tenacia occorra più del talento.
Chi è stato il suo “maestro”?
Ne ho avuti molti, il primo importante è stato Lino Rizzi ma il più grande, colui che mi ha insegnato a scrivere in modo semplice, chiaro e senza elucubrazioni, è stato il grande Indro Montanelli. A lui sono legato da una straordinaria esperienza a “Il Giornale”, alla cui redazione romana ho lavorato per sette anni, prima quale novista politico e successivamente quale commentatore politico.
Crede che i giornalisti siamo liberi fino in fondo oppure debbano rispondere e scrivere in base alle indicazioni degli editori?
La libertà totale non esiste tranne che non si sia editore, direttore e giornalista al tempo stesso. C’è sempre una linea editoriale da seguire e chiunque faccia questo “mestiere” e va in un giornale piuttosto che in un altro sa che deve seguire una linea editoriale quindi c’è sempre una libertà non assoluta che fa parte del gioco. Se vado alla “Stampa”, per intenderci, so perfettamente che non potrò fare delle inchieste violente contro la Fiat. Le linee editoriali fanno parte della realtà di una società aperta in cui ci sono degli interessi che sono legittimi, il problema è la trasparenza. Per quanto riguarda la libertà del giornalista posso dire che è fondamentale che questi abbia sempre una propria dignità nei confronti dei lettori. Bisogna in sostanza essere sempre se stessi, chiari e trasparenti e far capire al lettore chi si è fino in fondo, perché il lettore ti guarda e ti giudica sia sulla carta stampata sia in televisione. Bisogna mostrarsi così come si è, con i propri pregi e i propri difetti.
Lei è stato mai condizionato nell’esercizio della sua professione?
Si possono fare mille esempi e mille modi diversi di condizionamento, anche io ne ho avuti e quando per me sono diventati eccessivi ho preso e me ne sono andato. Non c’è un giornalista che non ne abbia subìti. La scelta che ho fatto io è stata quella di fare un piccolo giornale, di nicchia, di cui però decido in assoluto la linea e mi sento da questo punto di vista un giornalista assolutamente libero, perché non devo dare conto a nessuno del mio modo di scrivere o di essere, tranne che ai lettori ma di questo già abbiamo parlato e sa come la penso al riguardo.
Dove inizia e dove finisce la libertà di stampa?
Il confine esatto è nella legge e nella coscienza.
Trova giusto che sia abolita per i giornalisti la reclusione per il reato di diffamazione?
Il mio è ovviamente un giudizio di parte. Trovo giustissimo l’abolizione della reclusione perché l’intero corpo normativo che regola l’attività del giornalismo e la libertà di stampa sono mutate rispetto a epoche passate quando la libertà di stampa era ridotta ed esistevano altri sistemi e lo Stato si faceva addirittura carico di avere un controllo di tipo anche censorio nei confronti della stessa. Si parla di un sistema vecchio che è un reperto archeologico che andava superato e questa nuova legge in parte lo fa, anche se non colma tutti i difetti del vecchio sistema. Tuttavia si tratta di un primo passo ed è sempre meglio di nulla.
Per lei un giornalista deve solo “raccontare” ciò che accade o può anche rappresentare le proprie idee politiche, comportamentali, sportive…
Dipende dal ruolo che si ha. Nella professione ci sono varie specializzazioni, chi lavora in cronaca deve essere portatore di notizie più precise possibili e quindi deve evitare di condizionare e di subordinare le notizie alle proprie convinzioni. Diverso è il caso dell’opinionista che deve esprimere delle opinioni e che dunque può agire fuori da schemi e in maniera più libera. Fare della falsa oggettività credo sia il peccato più grande che un giornalista possa fare nei confronti del lettore, la trasparenza è l’elemento chiaro e più giusto da seguire unitamente alle specializzazioni. Chi fa cronaca deve fare cronaca, farà opinioni quando farà l’opinionista e così via.
Qual è la sua fede sportiva? Dopo tutto questo che ha detto ce la può dire?
Ah, ah, ah certamente. Sono un grande appassionato di sport e del calcio in particolare. Amo il bel gioco e seguo tutte le squadre ma il mio cuore tifa Lazio.
Quale giornalismo sogna per il futuro?
Un giornalismo aperto, che non abbia steccati di tipo corporativo. Un giornalismo che consenta a tutti di esprimere le proprie idee e di dare informazione, un giornalismo in cui il professionista sia quello che fa la professione senza la necessità di certificazioni che rischiano di ingabbiare il sistema. Il giornalismo di una società aperta deve essere aperto e libero non si può essere ancora medioevali.
Crede nell’esistenza dell’Ordine Nazionale dei Giornalisti e nella Federazione Nazionale della Stampa?
Credo che l’Ordine dei Giornalisti dovrebbe avere una funzione completamente diversa, non quella di regolamentare l’accesso ma quella semmai di tutelare la deontologia, quindi avere una funzione più di tipo morale che di tipo pratico. La Federazione Nazionale della Stampa è un sindacato che negli ultimi tempi si è appiattito su posizioni politiche e rischia di trasformarsi in un gruppo di pressione e in un movimento di opinione piuttosto che in un sindacato.
La Legge 150/2000 prevede che presso gli uffici stampa operino esclusivamente giornalisti. Crede sia giusto?
Secondo me nel momento in cui l’Ordine non fosse più lo strumento che certifica l’accesso questo è un paletto che potrebbe tranquillamente saltare, nel senso che chi lavora nell’ufficio stampa o fa comunicazione e informazione è automaticamente giornalista e quindi deve avere un contratto adeguato. Le questioni di Ordine si mescolano a quelle di tipo sindacale, è assurdo ed ingiusto ciò che è accaduto in passato per tanti colleghi che lavoravano negli uffici stampa e che venivano trattati da un punto di vista giuridico ed economico con contratti d’altro genere quando invece avevano diritto per la prestazione giornalistica che svolgevano ad avere un contratto giornalistico. In conclusione posso dire che allo stato dei fatti, da un certo punto di vista questo paletto è giusto ma sarebbe un paletto inutile se il meccanismo fosse diverso e fosse aperto.
Se fosse stato americano avrebbe votato per Bush o per Kerry? E perché?
Avrei votato per Bush pur non condividendo tutta la sua politica. Sono un laico quindi non condivido l’istinto e i condizionamenti di tipo religioso ma avrei votato per Bush perché si è dimostrato capace di fronteggiare il grande pericolo del terrorismo, perché ha capito che dopo l’undici settembre si era davanti ad una situazione nuova ed anche il mondo occidentale era sotto i riflettori del terrorismo. Bush ha avuto il coraggio di assumere la guida della reazione contro questa nuova e terribile minaccia chiamata terrorismo.
Pubblicato sul “Corriere del Sud Lazio” n. 45/2004